Nella terza tappa di quest'avventura bianconera ci fermeremo nel tempo per un focus su un calciatore dell'Udinese di cui abbiamo parlato nella prima puntata: il suo soprannome era Raggio di Luna, il suo nome Bengt Arne Selmosson. Soprannome che derivava dalla biondissima capigliatura e dalla carnagione chiara, tratti tipici di un ragazzo svedese.
Selmosson infatti nacque in Svezia il 29 marzo 1931, nel piccolo paese di Sil. Arrivò in Italia nel 1952 acquistato dall'allora presidente dell'Udinese Dino Bruseschi per una fortuna all'epoca, dopo che l'allenatore Bigogno lo aveva addocchiato. Non fu possibile vederlo subito in campo a causa di un decreto del Presidente del Consiglio che impediva l'impiego di giocatori stranieri, per questo motivo rimase inattivo per un anno. All'inizio del '900 le prime squadre erano formate quasi completamente da ragazzi del posto, in particolare i friulani seguivano questa filosofia. Col passare degli anni venivano considerati "stranieri" giocatori che provenivano da regioni diverse, poi arrivò il fascino dello straniero vero e proprio, fu il caso di un campione come Selmosson.
Cerchiamo con una descrizione generale di raccontare le sue carateristiche fisiche e tecniche, il modo di giocare ed i migliori pregi: attaccante mancino, capace di giocare da ala, seconda punta e trequartista, giocatore elegante potente e veloce, racchiudeva nel suo calcio tutti gli ingredienti di un campione di quei tempi. Fisicamente misurava 170 cm in altezza per 73 kg di peso, quindi non alto ma molto potente e dal fisico compatto, era velocissimo e dotato di una tecnica da fuoriclasse. Era solito posizionarsi fuori area in posizione di interno sinistro e, una volta ricevuto il pallone, dribblava seccamente l'avversario e in piena corsa, un po' ondeggiante ma sempre coordinato e senza mai guardare la palla, o passava di precisione al centrattacco o tirava potente e rasoterra in rete, lasciando spesso poche chance al portiere. Era pericolosissimo anche nel colpo di testa in quanto dotato di elevazione e di una perfetta scelta di tempo nell'impatto col pallone. Aveva inoltre il grandissimo pregio di calciare in porta senza mai cambiare passo rendendo più difficile contrastarlo. Nei filmati d'epoca, si può notare come il gioco di Selmosson fosse caraatterizzato dalla linearità tipica dei giocatori classici: negli spazi vuoti, soprattutto in contropiede e sulla fascia sinistra, andava in progressione, palla a terra, e tirava indifferentemente coi due piedi dopo precisi controlli.
Tutto questo accompagnato da spiccate qualità umane e morali: esemplare per correttezza e misura, Selmosson era un ragazzo elegante e posato, mai polemico. Dopo il suo passaggio dalla Lazio alla Roma un gesto risultò simbolico: segnò un gol contro al Lazio in un derby e tornò a capo basso verso il centro del campo senza il minimo gesto di esultanza. Quest'episodio, che non si era ancora mai verificato su un campo di calcio in Italia, fu molto apprezzato sia dai tifosi laziali che da quelli romanisti. Altra sua caratteristica era la timidezza e nelle partite infuocate contro squadre di provincia a volte restava avulso dal gioco, questo fu il suo unico limite.
Kurt Hamrin, amico, compagno di nazionale e avversario nel campionato italiano, annunciando la scomparsa di Selmosson ai giornali, lo descrisse così: "Giocava mezzala. Oggi esterno sinistro. Con lui non ho giocato mai. Contro di lui, sì. Che tipo di giocatore? Lo avessi avuto in squadra, mi sarei messo tranquillamente lassù, davanti, ad aspettare i suoi passaggi".
Passiamo a raccontare la sua storia nel calcio: Selmosson cominciò la sua carriera nelle giovanili del Sils per poi passare al Joenkoeping, dove in quattro stagioni giocò 81 partite e segnò 33 reti. Fu poi acquistato dall'Udinese e nella stagione '54-'55 con 14 reti in 31 presenze contribuì alla grande annata dei friulani che terminarono secondi alle spalle del Milan.
Ma lo svedese brillò agli occhi degli udinesi una sola stagione per poi diventare un lusso insostenibile, l'anno successivo infatti lo acquistò la Lazio con una trattativa complessa in cui Alberto Fontanesi e Per Bredesen furono girati all'Udinese insieme ad un buon numero di milioni che consentirono ai biancocelesti di avere anche Bettini, il vice-capocannoniere del campionato. Con i biancocelesti avanzò la sua posizione in campo giocando molto di più in attacco nonostante mantenesse il pregio dell'assist per i compagni e, alla fine della sua avventura, collezionò 101 presenze e 31 reti.
Nell'estate del 1958 partecipò con la Svezia ai mondiali che gli scandinavi giocarono in casa e persero 5 a 2 in finale con lo storico Brasile sfiorando quindi la Coppa Rimet e vincendo la medaglia d'argento.
Quel periodo fu importante per Selmosson anche per il clamoroso passaggio dalla Lazio alla Roma. I biancocelesti, in una grave crisi finanziaria, furono costretti a vendere il beniamo dei tifosi e la Roma fu la società che offrì più soldi, ben 135 milioni!
Alcuni dirigenti laziali raggiunsero il calciatore, che era in vacanza in Svezia, per scongiurarlo di non firmare il contratto.
Selmosson dichiarò che preferiva rimanere in biancoceleste ma le regole in quegli anni erano ferree e il giocatore alla fine dovette cedere. Una folla di sostenitori scese in piazza e vi furono numerose scaramucce con le forze dell'ordine, allora erano solo mugugni e qualche clacson delle prime utilitarie. Venuti a conoscenza della vendita, alcuni dirigenti si dimisero, altri non poterono per molto tempo uscire di casa e i tifosi giurarono di non abbonarsi. Inoltre la settimana precedente alla cessione, un settimanale sportivo aveva messo in vendita uno dei primissimi poster a colori in cui era rappresentato il volto di "Raggio di Luna" in maglia biancoceleste e i ragazzini laziali, entusiasti, avevano riempito le pareti delle loro stanze con l'immagine del loro idolo. Lo svedese infatti, era tra i calciatori più attivi nel presenziare ai corsi giovanili di addestramento al calcio dell'Acqua Acetosa.
Anche con i giallorossi giocò tre stagioni segnando 30 reti in 87 gare. Le caratteristiche rimanevano le stesse anche se l'età iniziava ad avanzare, il ciuffo ormai era più bianco che biondo e ogni tanto aveva bisogno di tirare il fiato dopo le sue solite sgroppate in campo. La Roma in cui giocò era per definizione una Rometta, capace di exploit con le grandi squadre ma di numerose delusioni nell'arco di una stagione. Fu l'unico giocatore a segnare nel derby romano sia per la Roma che per la Lazio. Fondamentale risultò il suo contributo alla conquista di quello che è ancora l’unico trofeo internazionale della bacheca giallorossa, la Coppa delle Fiere del 1961. Proprio nel 1961 decise di vivere più tranquillamente la sua carriera ormai in discesa e tornò a Udine e, in un romanesco ormai quasi perfetto, commentò così il suo ritorno: "...prima che la caciara tra romanisti e laziali mi intronasse del tutto".
Tornò quindi a Udine dove c'era il giovanissimo Dino Zoff e dove giocò tre stagioni segnando 18 reti in 73 presenze e chiudendo la carriera in serie B con i bianconeri nel 1964. Dopo aver giocato in grandi squadre ed essere diventato l'eroe di molti tifosi, non ebbe problemi a scendere in B con la squadra verso la quale rimase sempre fedele: l'Udinese.
Rientrato in patria giocò con il Skoevde AIK per poi intraprendere la carriera di allenatore in squadre minori.
Nella sua carriera in Italia fu protagonista di un'equivoca leggenda che riguardava il mondo dello spettacolo: nel 1955, i grandi Garinei e Giovannini scrissero una commedia musicale, intitolandola “La padrona di Raggio di Luna” e in molti ci videro un collegamento con la vicenda di Arne Selmosson. In realtà, l’ispirazione venne ai due autori, attenti ai fatti del calcio e fra l’altro anche tifosi romanisti, da un fatto di cronaca realmente accaduto, nel quale Selmosson non c’entrava per niente. Era la storia molto verosimile della moglie di un principe che si trova, alla scomparsa del marito, a dover ereditare anche un fuoriclasse straniero. Quell’opera sembra essere stata la trasposizione della vicenda che vedeva protagonisti lo storico presidente del Palermo, il principe Raimondo Lanza di Trabia, sua moglie, l’attrice Olga Villi, ed un calciatore argentino non ricordato per le sue grandi gesta sportive, Martegani. Il principe Raimondo Lanza di Trabia, era un personaggio originale e stravagante, oltre ad essere il mecenate rosanero di quei tempi. Fu in pratica l’inventore del calcio mercato e si racconta avesse la strana abitudine di condurre le trattative nella sua elegante suite all’Hotel Gallia, nudo e seduto sul water della stanza da bagno. Un modo, si diceva, per porre le controparti in soggezione ed ottenere i risultati migliori. Successe che Martegani non venne acquistato dal principe per la società, ma per sè stesso e, quindi, lasciato in eredità ad Olga Villi. Di qui, la vicenda che ispirò la commedia musicale. Altre voci invece indicano in Helge Bronée, punta danese dai grandi mezzi tecnici ma un po' troppo amante della bella vita, il riferimento dell'opera treatale.
Sta di fatto che Selmosson sembra quasi certo che non fu fonte di ispirazione per la commedia ma fu solamente rievocato il suo soprannome nel titolo: Raggio di Luna.
Soprannome che si portò anche al suo ritorno in patria dove passò da "Raggio di Luna" a "Månsträlen".
Arne Selmosson si è spento nell'ospedale di Gotene, nei sobborghi di Stoccolma, la mattina del 22 febbraio 2002.
Dopo la sua scomparsa la città di Udine ha deciso di dedicargli una via, "Via Selmosson" appunto, sintomo di quanto il campione svedese fu importante con le qualità tecniche e la sua fedeltà verso i colori bianconeri. E' stato inoltre scelto dai tifosi tramite un sondaggio, come miglior mezzala sinistra di sempre dell'Udinese ed inserito nella formazione ideale di tutti i tempi.
I compagni lo ricordano sempre come un uomo disponibile, cortese ed elegante, con la passione per i vini bianchi conosciuti proprio al suo esordio in Friuli, senza mai però esagerare, come nella vita quotidiana e in campo.
Campione del passato, dentro e fuori dal campo, capace di far litigare le due società di Roma e di far disperare o esaltare le due tifoserie uscendone però sempre a testa alta e tra gli applausi. E soprattutto simbolo di una storica Udinese, capace di battagliare col Milan per la conquista del tricolore e, allo stesso modo, di lottare al suo ritorno a fine carriera, per rimanere in serie A o per risalire dalla B. Tutto questo in un soprannome: "Raggio di Luna".
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