Il difensore dell'Udinese Molla Wague ha rilasciato una lunga intervista al Messaggero Veneto in cui ha parlato anche della tragica situazione del suo paese natale, il Mali. Dopo la partita con la sua Nazionale, Wague ha dormito all'hotel Radisson, attaccato a Bamako spiegando di essere scampato alla tragedia per una questione di ore:"Sono sfuggito alla strage di Bamako, fino a mercoledì ero là, all'hotel Radisson Blu, prima di prendere l'aereo per tornare in Friuli".
Wague partiamo dall’inizio: dal suo nome. Perché Molla?
«Perché è il nome di mio nonno. Sono il sesto di dodici figli di una famiglia originaria del Mali. Mio papà Mamadou ha lavorato per 43 anni in una grande fabbrica: era un operaio. Adesso è in pensione. Mia mamma Hawa si è invece dedicata sempre alla famiglia».
Il calcio è stato una valvola di sfogo naturale per un ragazzino alla ricerca di un sano divertimento...
«A 7 anni ho preso una borsa e mi sono presentato a Les Andelys dove giocavano alcuni miei amici. Mi sentivo un grande centrocampista. Fino a 13 anni sono rimasto in zona, poi il Rouen e quindi di Caen che mi ha fatto esordire nella Ligue 1, da dove due stagioni fa mi ha pescato l’Udinese».
Una carriera costrita in Francia, la nazionale però è il Mali.
«L’ho scelta perché lo dovevo a mamma e papà. Io mi sento maliano, per lingua, abitudini, gusti. Prima di obbedire alla convocazione avevo avuto delle esperienze, poche, nella rappresentativa under 19 francese, ma una volta finita la trafila delle giovanili è stato naturale per me sceglie il Mali».
Un paese poco conosciuto in Europa, in Italia. Dopo l’ultimo venerdì di terrore, lo immaginiamo poco sicuro per un europeo.
«Devo essere sincero, da almeno cinque anni si è trasformato in una meta a rischio per uno straniero. Colpa dei ribelli del nord, quelli che hanno sferrato l’attacco all’hotel la scorsa settimana. La Francia che controllava il Paese nell’era coloniale ha fatto bene a reagire, a intervenire con l’esercito e l’aviazione, nel tentativo di normalizzare la situazione, ma la violenza di certa gente è difficile da superare.
Molla Wague è musulmano?
«Sì, ma vi garantisco che il corano parla soltanto di pace. Quelli che uccidono in nome della nostra religione sono degli imbroglioni, anzi, degli impostori che manipolano la gente in nome di versetti interpretati in modo univoco».
Una presenza oscura che rischia di trasformare l’intero continente in una polveriera.
«Credo che il fanatismo religioso sia rappresentato da minoranza che può essere controllata dalla società africana. Durante questa sosta di campionato, in occasione della prima partita con il Mali, noi giocatori siamo andati in Sudafrica: abbiamo scelto Soweto e i suoi bambini per regalare un po’ di gioia e qualche autografo ai giovani di un sobborgo di Johannesburg che ha fatto la storia nella lotta contro l’apartheid. Ecco, dell’Africa mi piace questo spirito, non quello di pochi fanatici».
Wague, ha saputo della notte di sangue a Parigi quando era in Sudafrica?
«Sì, ho visto le immagini in tv e mi sono subito preoccupato. Ma mia famiglia era là».
Nella capitale?
«Certo, ci siamo ormai trasferiti tutti: abitiamo nella zona di Saint Denis, molto vicino la zona coinvolta nei raid dei terroristi dell’Is. Per questo ero spaventato. Guardavo la partita della Francia con la Germania trasmessa in Sudafrica: quando si sono sentite le esplosioni, quando i telecronisti riferivano di altri possibili attentati, ho preso subito il telefono per sentire la mia famiglia. Mi sono calmato dopo averli sentiti. Stavano tutti bene. Anzi, qualcuno si era anche divertito allo stadio: hanno aspettato le indicazioni e sono usciti senza problemi, solo con un po’ di paura addosso».
Paura giustificata?
«Perché coinvolge tutti. Può capitare a chiunque di finire in mezzo a un agguato terroristico in un bar, in un teatro, in uno stadio. Tutte i posti che sono finiti al centro della cronaca in occasione degli attacchi terroristici di parigi li conosco bene, conoscono quella zona».
Il presidente Hollande ha spiegato a chiare lettere che questa è una guerra. Pensa che ci possa essere un’escalation europea, anche qui in Italia?
«Non credo. Per il tipo di immigrazione che c’è qui. La vedo diversa, più complessa».
Autore: Luca Trusgnich
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