Quante scommesse ha vinto Inzaghi da quando allena la Lazio? Il numero esatto non conta: comunque tante, e ieri l’ultima. Cinque uomini diversi rispetto alla squadra che contro il Genoa era finalmente sgorgata zampillando come ai tempi d’oro; tre uomini chiave in panchina: due (Lucas Leiva e Milinkovic) per 90’ e Immobile per quasi un’ora. La puntata sottintendeva una convinzione forte–identità a prescindere dagli uomini e più soluzioni rispetto all’anno scorso – e un fine chiaro: avere sabato forze più fresche per aggredire anche fisicamente la Roma. Che ora affronterà a +4, magari al terzo posto dietro Juve e Napoli. E avendo alle spalle il vento di 5 vittorie consecutive fra campionato e Europa: in Serie A non ne metteva in fila 4 da quasi un anno (ottobre 2017).
DIFFERENZE Il verdetto di ieri parla della differenza fra una squadra già «fatta» e una che sta nascendo (bene). Fra chi ha un rapporto consolidato con la porta anche nelle giornate meno ispirate – due tiri veri in porta e due gol – e chi lo sta cercando. Fra chi sbaglia tutto sommato poco e chi fa errori individuali che pesano sull’economia della partita: il fallo di Machis da cui è nata la punizione di Luis Alberto spizzata da Wallace, respinta da Scuffet e raccolta in tap-in da Acerbi quasi solo per il primo gol su palla inattiva della Lazio (1-0); lo sbandamento di Larsen, puntato e bevuto da Correa per il 2-0.
BRIVIDI LAZIO È successo tutto in 5’, gli unici in cui davvero l’Udinese ha perso solidità ed è arrossita di fronte alla qualità della Lazio: quel calcio da fermo di Luis Alberto era tagliato con il coltello e Correa in dribbling ha pettinato la palla come se stesse facendo un gioco di prestigio. Ma è difficile pensare che questa sconfitta possa far male alla crescita dell’Udinese, e anzi potrà rafforzarne l’autostima: perché ha reagito bene alla botta, e che i suoi ultimi 3 gol siano arrivati negli ultimi 15’ non deve essere un caso. Perché ha guardato negli occhi fino alla fine un’avversaria importante seguendo principi di gioco e non l’istinto, anche con criterio per quanto possibile nel bailamme dell’ultimo quarto d’ora, sfociato in una sagra dell’ammonito e della protesta. Perché dopo il 2-1 in sforbiciata di Nuytinck deviato in modo decisivo da Badelj, ha messo i brividi alla Lazio sfiorando il 2-2 almeno tre volte: con Teodorczyk; con l’ennesima punta ta del tirassegno di Fofana (suoi 6 tiri su 12 dell’Udinese) contro Strakosha, il migliore dei suoi fino allo 0-0 e già decisivo altre due volte su di lui e una volta su punizione di De Paul; con un salvataggio di Parolo su Vizeu.
NUOVO ASSETTO Detto a posteriori, l’Udinese avrebbe potuto far male alla Lazio già nel primo tempo . Velazquez, con Behrami in panchina per dare tregua al contachilometri, l’aveva disegnata alternando al 4-4-1-1 un più raccolto 4-1-3-1-1 in caso di necessità: composta nel proporsi con la spinta costante di Samir e gli elastici di De Paul (soprattutto) e Machis verso Lasagna e poi pronta a ricomporsi in transizione. Nelle intenzioni anche un po’ più a immagine di Barak, tornato titolare: dunque senza un uomo fisso davanti alla difesa, perché Mandragora ha potuto schermare Correa senza bisogno di ancorarsi fisso alle spalle di Fofana; con massima libertà di avvicinarsi a Lasagna per il ceco, però ancora un po’ arrugginito in entrambe le fasi e quasi mai al posto giusto fra le linee. Proprio del buco che a volte si era venuto a formare sul centrosinistra del centrocampo bianconero la Lazio avrebbe potuto approfittare di più, se Badelj e Parolo fossero riusciti ad alzare di più pressione e ritmo e i due esterni non fossero rimasti un po’ troppo rintanati, regalando all’Udinese troppe superiorità nella terra di mezzo. È successo poi nella ripresa, quando Inzaghi si è giocato le fiche previste:econ Immobile a scompigliare più e meglio di Caicedo l’area avversaria, anche lo zigzagare di Correa e in aggiunta Luis Alberto sulla trequarti ha finalmente trovato gli sbocchi che hanno ferito, ma non ucciso, l’Udinese.
Autore: Stefano Bentivogli / Twitter: @Sbentivogli10
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