Ciò che conta moltissimo nel calcio moderno per diventare una grande squadra vincente e piena di fuoriclasse sono i soldi. Dopo la disponibilità è ampia, la maggior parte delle volte i risulati arrivano. Per questo motivo quasi sempre le squadre, sopratutto le grandi, spendono milioni di milioni per acquistare i fatidici top player e per arrivare a vincere quei trofei tanto sognati. Ma i conti non tornano e i debiti crescono inesorabilmente. Nonostante la crisi nel mondo del calcio si spende ancora tantissimo anche se non si ha. È questo ciò che è emerso dall'indagine della Gazzetta dello Sport sul mondo economico calcistico. Il conto economico Nel 2012-13 la Serie A ha visto crescere il fatturato a 1772 milioni (+8% rispetto al 2011-12), grazie al nuovo ciclo di vendita dei diritti tv, eppure nell’era della presunta austerity i costi non solo non sono diminuiti ma sono addirittura cresciuti del 4%, a 2365 milioni. Beninteso, non gli investimenti virtuosi nei vivai (passati da 36 a 37 milioni calcolando solo le società che li capitalizzano) ma le spese fuori controllo per le rose, cioè stipendi e ammortamenti. Il costo del personale si mangia il 68% dei ricavi. La crisi del debito I debiti lordi non smettono di ingrossarsi: dai 2111 milioni del 2008-09 ai 2855 milioni del 2012-13. Calcolandoli al netto dei crediti, fanno 1572 milioni, qualcosa in meno di un anno fa (1630), ma sempre elevati (nel 2009-10 erano 1350). In questo senso il calcio è lo specchio del Paese. Le società dipendono dalle banche che finanziano lo spettacolo per circa un miliardo. Troppa tv La Serie A continua a essere teledipendente. Il 56% del giro d’affari proviene dai diritti tv (989 milioni, inclusi quelli delle coppe europee), il 19% dall’area commerciale (342), l’11% dallo stadio (191) e il 14% da altri ricavi (250). Se la prima fonte è in costante crescita, sponsorizzazioni e pubblicità aumentano ma a scartamento molto ridotto (339 milioni nel 2011-12), mentre preoccupa l’erosione degli incassi al botteghino (erano 201 nel 2010-11). 

A Udine però la storia è ben diversa. Qui si risparmia e si accumula, con utili da capogiro ed in linea con club come il Real Madrid. L’Udinese celebra così il record di utili della sua storia: i 32,3 milioni del 2012-13 polverizzano i 25,8 del 1999-2000. I ricavi (spinti da diritti tv e contributi Lega) sono cresciuti del 12%. Ciò sopratutto grazie alle plusvalenze di Handanovic, Isla, Asamoah, Floro Flores, Candreva e Cuadrado. 87,2 milioni che, detratti 15,8 di minusvalenze, danno un guadagno netto di 71,4 dalle cessioni. L’Udinese ha ridotto gli stipendi (da 34,1 a 32,1), aumentato ancora gli investimenti nello scouting (costi specifici tecnici da 21,5 a 23,2)  e appostato gli ammortamenti per il nuovo Friuli (3,1).

Sezione: Notizie / Data: Sab 08 marzo 2014 alle 09:00
Autore: Stefano Pontoni
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