Questa mattina mi è capitata sotto gli occhi una foto del mitico vecchio Stadio Friuli. Mi sono tornati in mente tanti ricordi. Un'epifania. Ricordi di un passato che non c'è più, di una Udinese che ora è molto lontana da quella squadra che ci fece tutti innamorare alla follia. Cosa sarebbe il presente senza la memoria? 

Rimpianti di un calcio che non c’è più, come troppi ricordi che rischiano con gli anni di affievolirsi, schiacciati da un presente oscuro. Quel passato, garanzia di genuinità, onestà e passione. Un calcio "pane e salame", come rigorosamente si faceva nel parcheggio della Nord. Modestamente qui in Friuli sappiamo bene che storia e memoria fanno parte dello stesso fiume, così nella vita, così nel calcio.

L’esempio è quel Friuli stracolmo tre ore prima della partita quando in campo scendeva Zico, o quando in una serata magica si affrontava l'Ajax tra le lacrime e i brividi di una città intera che mostrava il suo lato migliore all'Europa. Io all'epoca ero un bambino ma nella pelle d'oca di chi mi racconta certe cose ho imparato cosa è stata per tanti l'Udinese e cosa ha rappresentato per questa gente la maglia e lo stadio. Da quei racconti sinceri e felici ho imparato il valori del tifoso friulano, il più nobile tra tutti.

Anni indimenticabili e non perché si vinceva dato che di sofferenze ce ne sono state tante, ma perché si sperava, si sognava e si gioiva sotto la pioggia, il sole, la neve.  Sono molto preoccupato per tanti che non si accorgono che tutto è cambiato, che si è persa la vera essenza del calcio e dell'Udinese, che quello che vediamo ora, in quella che qualcuno ha voluto chiamare Dacia Arena, non è il sogno che continua, non è la favola che tutti speravamo. Siamo storditi e attanagliati da troppo cose che non c'entrano niente, dal calcio business, dal marketing e dal prodotto che si deve vendere. Crediamo che ci offre birra e pizza prima della partita sia il massimo, che la Club House sia il salto di qualità. Non è così, perché si stava meglio quando si stava peggio. Quando ci si beccava la pioggia sulla testa e si arrivava a novembre allo stadio con il kway e l'ombrello ma in campo si dava tutto, anche il sangue.

Ridatemi il mio vecchio Friuli, ridatemi Calori e Poggi e anche Bierhoff in bicicletta. Ridatemi uomini veri e non personaggi mediateci. Perchè è questo che voglio. Un calcio più genuino, anche se fa freddo e mi becco la pioggia in testa. 

Sezione: Primo Piano / Data: Gio 20 ottobre 2016 alle 18:00
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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