Ieri sera mister Massimo Oddo è stato ospite al workshop del C.F.T. di San Giorgio di Nogaro, dove ha parlato davanti a numerosi allenatori di rappresentative giovanili e ragazzi che stanno provando a diventare calciatori. Il tecnico dell’Udinese ha spaziato dalle sue esperienze personali, fino al rapporto che ci deve essere coi genitori. Non sono mancati aneddoti come quello su Mandragora e una piccola stoccata finale ai corsi che vengono fatti a Coverciano.
Realizzare i propri sogni: “Un segreto per arrivare a compiere il proprio sogno non c’è, ci sono tante componenti, le squadre, gli allenatori, gli educatori e soprattutto i genitori, che hanno un ruolo fondamentale agli inizi. Al Renato Curi, da dove sono uscito io e tanti altri, c’erano educatori bravissimi, non allenatori. Sono due cose diverse, perché l’educatore è più adatto ai bambini, ti forma il carattere, le tue aspettative e il tuo volere e si fa attraverso un codice etico. Inoltre era una società dove o sapevi comportarti o eri fuori, poche regole, ma chiare, che ti permettevano di crescere come uomo. In questo contavano anche i genitori, che non accedevano agli allenamenti, perché sapevano di dare i propri figli a preparatori serissimi. Quando tornavo a casa, spesso non giocavo, mi lamentavo, la prima risposta che mi dava mio padre era “vuol dire che gli altri sono più bravi”. Da un lato può buttar giù il bambino, dall’altro era uno stimolo a migliorare e arrivare a giocare come chi stava al mio posto. Spesso invece adesso il genitore dà una scusa al bambino. Bisogna insegnarli a sfidare le difficoltà, per formare una forte personalità”.
Il ruolo dei genitori: “Adesso 9 genitori su 10 danno scuse ai propri figli. Una volta eravamo in cerchio, primo giorno di scuola calcio. Io ho iniziato a tirare pietrini e fare dispetti, mio padre è entrato in campo e mi ha trascinato fuori, non ho mai più fatto un dispetto. È un esempio banale, ma dimostra come spesso non dare alibi sia la mossa migliore. Credo che per arrivare ad alti livelli bisogna far capire ai propri figli che bisogna sempre dare tutto, qualsiasi cosa si faccia, avendo comunque delle alternative. Ci dev’essere lo studio, perché come io sono arrivato a sollevare le coppe tantissimi invece non ci sono riusciti e hanno dovuto continuare un percorso di studi”.
Il primo allenamento e Mandragora: “La cosa da capire è che conta molto di più la testa che il talento. Se giriamo nei campionati inferiori ci sono giocatori estremamente talentuosi che non sono arrivati perché non avevano la testa necessaria. Poi io inizialmente non volevo fare l’allenatore, ho avuto l’opportunità di provare ed è stata una mia fortuna, ma la più grande fortuna è stata allenare una categoria che non faceva classifica. Il primo giorno d’allenamento chiamai i miei ex allenatori perché non sapevo che fare, fu disastroso. Quella degli under 15 è la categoria migliore in cui allenare, perché non c’è obiettivo e i ragazzi sono spugne, hanno una crescita mensile. Li feci crescere individualmente. In più ci misi molto dell’educatore, ci parlavo molto. C’era un ragazzo che con me non giocava mai, era sempre triste, un giorno lo presi e gli chiesi “qual è il tuo obiettivo” “giocare” “no intendo a lungo termine” “passare agli allievi B”. Da quel giorno pensò solo a migliorare, questo ragazzo a fine anno esordì in amichevole con la prima squadra, si chiamava Mandragora.
Il Mondiale: “Sono fondamentali i valori del gruppo, di conseguenza dei singoli. In una squadra non sono tutti uguali chiaramente, però ci dev’essere sempre unità d’intenti, l’Italia nel 2006 vinse il Mondiale perché aveva il miglior gruppo, formatosi dopo la batosta di Calciopoli, perché tutti volevano dimostrare di essere i più forti e che l’Italia poteva rispondere a quanto era successo”.
Essere psicologi: “Chiedere ai figli quando tornano a casa se hanno vinto per me è sbagliatissimo. Io chiedo a mio figlio se si è divertito. Io ho mio figlio piccolo che gioca a calcio, non è un granchè, ma si è appassionato col tempo, giocando a passaggi con me. Lui usava sempre il destro, mi fa “sono bravo papà?” e io: “sì ma il destro lo usano tutti, dovresti usare il sinistro”. Da quel giorno, non costringendolo a usare il piede debole, ma facendogli capire indirettamente che facendo qualcosa di diverso poteva migliorare, usa sempre il sinistro ed è il suo piede migliore, è l’unica qualità che ha per ora (ride ndr). Questo vuol dire che dipende tutto dalla testa. Dipende dal carattere. Quando allenavo il Pescara arrivò un giocatore dalla A con atteggiamento sbagliato, un giorno dopo una partita l’ho ribaltato, è cambiato da così a così. La stessa cosa l’ho fatta con un altro ragazzo, l’ho perso completamente. È fondamentale essere psicologi ed essere affiancati da loro, per capire il carattere del ragazzo, perché si possono fare danni incredibili”.
I corsi a Coverciano: “Dovrebbe migliorare tutto il sistema, anche i corsi di Coverciano. Ho fatto tutti e tre i corsi, ho il master, se mi chiedessero di allenare un bambino di otto anni però non lo saprei fare. Se sto facendo il corso di psicologia a Coverciano non mi interessa di Freud, mi interessa sapere cosa fare con un ragazzo dal carattere particolare. Io ho imparato leggendo i libri, ma su corsi di psicologia, comunicazione, e uno unito, non ho imparato nulla. Qua ci dev’essere la riforma. Quando dico che la sconfitta è stata vincere i Mondiali intendo che pensavamo di essere i migliori anche nei corsi a Coverciano. Io quando sono piccoli metto i giocatori in posizioni che gli permettano di migliorare i loro limiti. Ci sono allenatori che a 14 anni fanno difendere a zona, ma a uomo quando marcano? Poi è ovvio che in Primavera o in Prima Squadra non sanno farti un terzo tempo. Quando sono piccoli devi renderli coordinati e farli migliorare nei fondamentali”.
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