Sono scioccamente e incomprensibilmente un delneriano: nel senso che Gigi l’Aquileiense appartiene alla mia storia calcistica, al mio DNA, ad un tempo in cui due maglioni a mo’ di pali mi permettevano di cercare di ripetere le azioni viste allo stadio. Tra cui quelle di Luigi.

Oggi però mi sento tradito.

No: non dall’ennesima prestazione incolore, seppure contro la Roma che (si sapeva) è sei piste superiore alla nostra compagnia di celestini. Ma da un gesto di Delneri.

Quando ha voluto ridisegnare la squadra sullo 0-3, facendo entrare Pezzella in vece di Lasagna, ho provato a capire il significato tattico della mossa, ma di più mi ha colpito quello spirituale e morale.

Era un messaggio, magari involontario, che mi ha rattristato. Non sono etologo, ma in uno dei film della serie “il pianeta delle scimmie” ho visto uno scimpanzé chinare la testa e offrire la mano aperta, palmo all’insù, al capobranco pietendone la benevolenza. Ecco: stringere le fila dietro (tra l’altro soffrendo quanto e come nel primo tempo) levando una punta con tre reti da recuperare a me è parso quasi una richiesta, peraltro (ma non certamente per questo gesto!) eseguita da una Roma sparagnina che puntava a spendere meno energie possibile, a non infierire.

A me invece sale il sangue agli occhi.

Tre reti sulla groppa: come quando giocavano i colpevoli Scuffet e Danìlo. E davanti, tolta di mezzo la mela marcia, non mi pare le cose corrano meglio.

Mi rifiuto di pensare che i giocatori vadano in campo per giocare male, non ne hanno ragione e soprattutto non ammanterei le loro menti di tali capacità strategiche. Semplicemente non sono, ancora, una squadra.

Colpa loro, che non riescono a concentrarsi per novanta minuti prendendo reti in fotocopia (vedasi Nainggolan che da terra serve Dzeko, come fece il capitano spallino Mora con Borriello); colpa del mister, ormai sulla graticola, che sembra avere perso le coordinate del proprio lavoro intestardendosi in alcune scelte discutibili. L’ho detto settimane fa: lo vedevo, lo vedo grigio come chi sta percorrendo uno sportivo miglio verde, senza speranza né prospettiva. Continua a parlare di crescita, io vedo sempre le solite cose.

Mi dicono che non era oggi la gara in cui fare punti. Ma perché?

La Roma, bella ma talvolta leziosa squadra à-la-Di Francesco (lassù qualcuno non lo ama(va) e se l’è fatto scappare anni fa. Forse perché chiedeva cinquantamila lire in più d’ingaggio, o magari perché pretendeva gli acquistassero il Defrel dell’epoca, o un Acerbi oppure un Magnanelli...), è piacevole a vedersi ma senza aiutini bianchineri probabilmente avrebbe avuto difficoltà a segnare così presto. L’Udinese alla (distratta) difesa giallorossa ha fatto forse il solletico, perlomeno finché c’è stata gara.

Forse per dare merito alle parole di chi (uomo della società), dalla televisione societaria, affermava come a Roma “si perda il 90% delle volte, forse anche di più”? Ricordo all’improvvido che negli ultimi 20 anni l’Udinese è uscita dall’Olimpico con punti almeno nel 40% delle occasioni. Forse si riferisce alla “sua” Udinese, questo ciclostile sbiadito e senza passione. Lo perdòno, lo abbraccio, sa che gli voglio bene e che so lui ne vuole alla squadra ed all’ambiente.

Delle prime sei gare non salvo nulla. Non i tre punti, non la tregua che avevo concesso; non la figura da cioccolataio che mi hanno fatto fare, a me che candidamente di questa rosa mi fidavo e tutto sommato mi fido.

Leggo del ritiro ordinato dalla dirigenza, per ricompattare il gruppo e concentrarsi in vista della gara di sabato prossimo; io in ritiro (cui non credo) ci manderei anche la dirigenza, tutta intera: dalla “proprietà” in giù, fino al direttore sportivo che dovrebbe, sappiamo quanto sia difficile, farsi sentire. E con loro il mister.

Tra l’altro da partecipante alla tribuna critica nei confronti di Simone Scuffet io l’avrei schierato. Se c’è una gara in cui non rischiava nulla, il virgulto di Remanzacco, era proprio quella dell’Olimpico; nel basket un giocatore che fa zero su sei al tiro da tre non si toglie, se non per un minuto nel quale gli si parla prima di rimetterlo in campo. Oggi, me ne assumo le responsabilità, sarebbe finita ugualmente 1-3, punto. Detto che Bizzarri si è comportato decentemente, sono certo che Simo avrebbe fatto lo stesso. È solo uno dei momenti grazie ai quali si è capita la confusione in cui il povero aquileiese è cascato; mal supportato, Luigi, da chi, nel recente passato, con dichiarazioni sullo staff ha per così dire “parlato a suocera perché nuora intendesse”.

Due spiccioli prima di chiuderla qui, ché tanto bisogna pensare alla Samp. E ai trentasette punti da fare nelle prossime trentadue gare.

Dopo Genoa, avevamo detto che la difesa si sarebbe dovuta verificare contro attacchi più capaci: tre gare, otto reti prese.

Sento venti di esonero, con Edi Reja e Massimo Oddo in rampa di lancio. Ancora? Esonero per dare “la scossa all’ambiente”? Non sono bastati gli Strama, i Colantuono, i De Canio, gli Iachini? È davvero tutto lì il male?

Ma a me cambia nulla. Dovessero sollevare dall’incarico Delneri sentirei il cuore gonfio di dolore, accoglierei senza squilli di tromba il nuovo mister così come farò quando arriverà un nuovo giocatore o uno di questi se ne andrà. Incluso chi oggi probabilmente è meno triste di noi, grazie a Gray e Richarlison.

Io invece triste lo sono: perché di gare così dimesse me ne ricordo poche. Ma sabato prossimo, appena tornato dagli States, verrò a vedervi, bianchineri miei, allo stadio Friuli. Perché non so se voi vi siete arresi, come pareva oggi: io, sappiatelo, no. Non per la fiducia che nutro in voi e nella società tutta: ma per l’urlo di dolore che la maglia che indossate, ogni volta che la maltrattate come oggi, spara fuori a duemila decibel. Perché quello slogan che viene spesso sbandierato come “motto” societario appartiene a me, a noi: a voi, oggi, no.

Sezione: Primo Piano / Data: Dom 24 settembre 2017 alle 10:00
Autore: Franco Canciani
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