Mi dispiace.
Mi rincresce sentire Gigi l’Aquileiense, uno di noi, rimproverare le folle per una supposta mancanza di rispetto verso i suoi giocatori, vittime di chissà quale ambiente negativo.
Mi rincresce, perché lo scudo alzato a difendere l’indifendibile è spesso sintomo di ultima spiaggia: e se questo non vale per il campionato udinese, ormai archiviabile, purtroppo sembra presentare il conto al trainer friulano.
Già: Luigi dovrebbe capire, lui ex-giocatore, che in tre anni di scempio questa tifoseria e l’ambiente tutto si è permesso di far sentire forte il proprio disappunto solo una volta, contro la Roma l’anno passato; e ha fischiato, raramente e solo al termine delle gare, alcune prestazioni inguardabili; ha sopportato con pazienza certosina sconfitte casalinghe contro corazzate come Spezia, Carpi, Palermo; tollera senza nemmeno troppo fastidio le invasioni rossonerazzurre venetofriulane, generosamente accolte da uno stadio moderno, funzionale, eccellente; continua ad incoraggiare un manìpolo di ciabattanti che ogni anno io, da brava testa di calcio, giudico meglio di quanto sia: un po’ per ignoranza, molto per amore.
Si ricordi, Luigi, che questo popolo ha sopportato sconfitte nel giorno della celebrazione dei due giocatori simbolo dell’Udinese moderna: l’anno passato nella gara d’addio al calcio di Totò l’Udinese ha fatto passare Verdi per Garrincha, uno bravo sì ma che oggi fa panca al Bologna; e domenica passata, quella del ritorno a casa de “o’ nosso Rei” si è fatta brutalizzare per 80’ da un Sassuolo diligente ma non trascendentale, giustamente vittorioso al termine. E a tal proposito, sapere che un roseo giornale nazionale sfotte, anche, titolando come Zico sarebbe venuto a Udine quasi ad applaudire i sassolesi, dopo i tre giorni di amore puro preparati dalla società e dal club di Orsaria ed assecondati dalla tifoseria biancanera, mi ha fatto ringraziare il cielo, lunedì mattina alle sett’albe, di dovermi prendere un aereo per Chicago. Via, via dal quel Bruseschi ove evidentemente la “claire” agonistica è stata tirata giù con ampio anticipo.
Il popolo chiede a gran voce l’impiego di ragazzi freschi: tanto cosa cambia? Potrà Ewandro far meno bene di Perica o di un Zapata in pieno psicodramma (ma lo capisco, quando i tifosi attuali e quelli teoricamente futuri non ti sopportano più l’autostima scende sottozero)? E questo Balic, è un centrocampista vero o un ologramma? E messo in mezzo, davvero non sarebbe in grado di svolgere il compitino di un Kums giunto a Udine coi crismi d’un Pirlo belga, salvo scoprirsi un Manicone meno coraggioso, o del mio islandico idolo dallo stop metallico (cit. Giacomini, grazie Andrea)?
Suvvia, Gigi! L’abbiamo capito: i rincalzi che girandoti spalle al campo ti trovi di fronte saranno anche bravi ragazzi, simpatici ed emotivi, ma purtroppo sei rimasto l’unico a pensare che Matos possa cambiare una gara messasi male. Mettiti il cuore in pace.
In più i tuoi boys, Gigi, oggi incontrano la Lazio sesta in classifica e settimana prossima potrebbero consegnare l’ennesimo scudo alla Juventus: cos’hai da perdere? Soprattutto alla luce dei messaggi (poco lungimiranti) di qualche tifoso che ricorda come tutto sommato non avresti fatto meglio del predecessore marchigiano. Ovvio: i profeti del cambio di panca sei volte l’anno riemergono in momenti come questi, in cui più che la delusione prevale la noia.
Sàlvati; salva la nostra stagione chiudendo in bellezza. Ho ormai perso la scommessa che feci, sostenendo dopo la gara contro il Napoli che sareste arrivati a quota 50 punti, limite oggi irraggiungibile per una formazione preda di troppi equivoci ed ancor di più dalla mancanza di qualità, tecnica e temo anche morale. Avevi fatto un miracolo, ricostruendo un gruppo e dandogli un gioco accettabile; alla lunga ha prevalso la mediocrità dei tuoi ragazzi, che purtroppo (ma quante volte sto usando questo rassegnato avverbio in ottocento battute?) penso più di così non possano dare.
Della gara di domani non dico nulla: fate meglio che potete, quantomeno una figura guardabile. Dopo lo scorso weekend, i brividi del quale mi tengono ancora caldo nelle notti vegliate al lume della solitudine di un albergo a tre stelle, è il mio campionato ad essere finito, non il vostro.
A proposito: arrivano anche qui, via reti sociali, notizie incontrollate su un presunto cambio di proprietà a vantaggio, diretto o indiretto, dell’azienda di cui si parla dalla scorsa estate. Dico diretto o indiretto perché anch’io ho le mie fonti, ma come promesso a quei tifosi che contestarono l’ultimo mio pezzo a proposito (agosto 2016) non intendo parlarne.
Chiedo solo una cosa: ma davvero la squadra che va oggi in campo, miscuglio di etnìe figlio proprio di quella filosofia tanto detestata che i nuovi arrivati porterebbero e non invece proveniente dai campi della nostra periferia, rispetta i dettami della nostra storia? E dei cerotti messi sulla schiena a coprire il blu, colore del main sponsor, me lo ricordo solo io? Del naming dello stadio neanche se ne parla più: “ora e sempre stadio Friuli” ma il nome è già cambiato. Una rivoluzione gentile, insomma. Che ci facciamo piacere in nome del recente, quasi glorioso passato. Prendo atto.
Rispetto: parola bellissima. Noi ne possiamo parlare, noi ce lo meritiamo ed ancor di più lo merita una curva traboccante orgoglio friulano che ha commosso il Rei, domenica scorsa; gli altri, per cortesia, cerchino dei sinonimi. Coloro i quali del buon cuore dei friulani hanno, secondo me, approfittato alla grande.
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