Novanta minuti di calcio. Non è stata una partita, ma la nostra intervista ad Alberto Zaccheroni, tecnico che ha dato il via alle annate dell'Udinese ai piani alti, facendo grandi cose però anche con il Milan, con la nazionale del Giappone, il Venezia e tante altre squadre che hanno giovato dei suoi insegnamenti. Il calcio d'inizio non può che essere dato dalla ripresa del campionato: “Secondo me ci sono troppi punti interrogativi, ma dall’altra parte ci sono tanti interessi, uno in particolare… c’è bisogno di una persona che si prenda le responsabilità di ripartire. Nel momento in cui c’è un giocatore contagiato si deve fermare l’intera squadra per la quarantena, non è come un semplice malanno, ci sono quindi i pro e i contro, c’è bisogno di qualcuno che se li prenda. Noi di certo non abbiamo molte squadre che sono attrezzate per rispettare i protocolli sanitari, anche solo il numero delle camere è insufficiente, quindi fuori un po’ di via vai ci sarebbe in ogni caso”.
La grande rivoluzione che tutti le attribuiscono è il famigerato 3-4-3 con Poggi, Amoroso e Bierhoff, che si consacrò a Torino. Per arrivare al tridente però c'è stato un percorso irto di insidie, a cominciare da un rapporto con Amoroso all'inizio difficoltoso: “A Torino fu dove tutti si accorsero che giocavamo il 3-4-3, dove fu lampante. Quell’anno Gino Pozzo mi prese Amoroso, che arrivò qua dopo aver passato tutti gli infortunii possibili. Era il classico 10 brasiliano ed era il momento più sbagliato per lui perché nessuno lo usava più. Io le partite non le vinco, le partite le vincono gli attaccanti supportati dalla squadra e il sistema di supportare tre giocatori ultraoffensivi non si trovava. Amoroso venne presentato in piazza San Giacomo con la maglia numero 10. Vidi la cosa da casa alla tv e telefonai a Gino Pozzo infastidito, perché io la 10 l’avevo data a Stroppa, a quel tempo erano gli allenatori ad assegnare i numeri di maglia e Stroppa non l’avrebbe ceduta tanto facilmente. Fece da intermediario il Barone Causio che convinse Amoroso che il 7 in Italia era un numero altrettanto importante. Poi ci fu un altro inconveniente. Amoroso in allenamento diceva “date la palla a me e poi io la passo a chi si smarca e segna”. Allora chiamai Piazzolla e lo volli dire davanti a lui e a Gino Pozzo a Marcio: “Io vedo che hai tantissime qualità, devo fare in modo di supportare le tue qualità, quindi mi devi giocare un po’ più avanti per dare una mano alla squadra. Dove vorresti tu non ti possiamo usare” lui non volle allora dissi “bene io d’ora in poi non ti convoco più, dimostrami in allenamento che lo vorrai e allora ti riconvocherò”. Poi arrivò l’infortunio di Clemente, lui si impegnò e arrivò la convocazione. Da lì poi nascerà la carriera che ha fatto, sono convinto a tutt’oggi che da trequartista non avrebbe fatto quello che ha fatto da attaccante”.
Un altro passo complicato è convincere una squadra che dietro ha sempre giocato a quattro a passare a tre: “Feci un compromesso, quando eravamo in svantaggio avremmo giocato dietro a tre. La leggenda è che a me piaccia giocare a tre dietro, ma anche io se potessi mi difenderei con 30 difensori, solo che io devo vincerle anche le partite. Allora se devi giocare con tre davanti, tre li metti dietro, con il portiere fa sette, come aiuti i tre davanti a segnare? È chiaro che la differenza a livello di equilibri la fanno i quattro in mezzo, perché ne hai almeno uno equidistante sia dai tre davanti che dai tre dietro e ti va dove serve. Andavamo sempre meglio, ma per i ragazzi le vittorie arrivavano sempre per demerito degli altri. Andammo allora a Torino, una squadra capace di far sei gol al Milan. Ci buttano fuori Genaux e allora presi la palla al balzo, feci il cambio Locatelli-Gargo e i giocatori mi fulminarono con lo sguardo, avevo pure Poggi in panchina. Alla fine ci hanno provato e la Juve non ne è venuta fuori. Se glielo avessi chiesto con una squadra di bassa classifica non avrebbero giocato così e forse avremmo perso, così invece li convinsi che era la scelta giusta. Quando in una squadra non scatta la chimica tu potrai avere anche i più forti del mondo, ma non farai mai grandi cose”.
Contro l'Ajax poteva arrivare una vittoria leggendaria, ma forse su Arveladze Gargo fece un errore... “Ero senza cambi, avevamo venduto Rossitto senza sostituirlo, Gargo veniva dalla rottura del crociato. Era molto forte ma non nel ruolo in cui arrivò, ma come difensore. Senza quell’infortunio non sarebbe rimasto con noi a lungo perché avevamo già l’appuntamento con Braida perché Capello lo voleva al Milan”.
In mezzo al campo sarà invece Appiah a consacrarsi: “Prima di un amichevole mi mancavano giocatori, chiesi la Primavera e gli Allievi, ma erano a un torneo. Allora mi mandarono un giovane in prova che finiva il giorno stesso il provino, Appiah. Chiesi a Gargo di aiutarmi a fare da traduttore, mi disse che faceva il trequartista. Nell’ultima mezz’ora lo buttai dentro davanti alla difesa perché mi serviva un uomo lì. Prima palla mi fa uno stop con l’interno sinistro e me la apre dall’altro lato con un lancio di quaranta metri perfetto. Poi con un filtrante mi mette Amoroso davanti al portiere e infine con un tiro da fuori centra il sette. Lo volli tenere subito”
Forse lo Scudetto poteva veramente arrivare, si dice che la sconfitta di troppo arrivò con l'Empoli: “A me peserà tantissimo quel gol annullato contro la Juventus…”
Tre azioni salienti della carriera, trofeo, avventura migliore e miracolo: “Lo Scudetto col Milan lo vinsi in rimonta e dopo che due allenatori come Sacchi e Capello erano finiti a metà classifica, ma l’avventura che, e lo dirò sempre, mi gratifica di più è quella che ho fatto ad Udine, anche se ho il rammarico di non aver giocato nel meraviglioso stadio che c’è ora. L’annata più difficile a Cosenza, eravamo senza campo d’allenamento, a febbraio con una decina di punti, se ci riprovo mille volte non riesco di nuovo a salvarmi. Per fortuna avevo Marco Negri che mi ha seguito, fece 19 gol senza i rigori, ma anche lì si creò una chimica speciale”.
Mai avuta la voglia e l'occasione di tornare in panchina a Udine? “La voglia sicuramente, ma sono anche dell’avviso che quando si vive un’avventura così bella poi non è da ripetere, perché c’è da rifare tutto da zero, devono formarsi tante componenti per successi come quelli che abbiamo ottenuto, dal magazziniere al trio di fenomeni. Se dovessi tornare da qualche parte tornerei in una piazza che mi ha tenuto poche giornate, non dove ho fatto bene”.
Per molti lo spartiacque della storia dell'Udinese è stato proprio Alberto Zaccheroni: “Il grande cambiamento in quel periodo non avvenne con me, ma con il fatto che smettemmo di prendere i giocatori a fine percorso con le big, dando spazio ai giovani. Feci così per salvare il Cosenza, perché i giocatori finito un ciclo poi è difficile che abbiano voglia di rimettersi in discussione. Poi la fortuna dell’Udinese la fece anche chi arrivò dopo di me, con Guidolin ci ho fatto i corsi, ho visto in lui sempre un punto di riferimento”.
In biografia anche un incontro con l'Imperatore del Giappone: “L’Imperatore del Giappone riceve 2500 persone all’anno in estate, tutte insieme, quando andai da Fazio la cosa fu presentata come un evento unico ma in realtà è una cosa meno clamorosa di quella che dipinsero. L’Imperatore riceve tutti coloro che durante l’anno hanno dato lustro al Giappone, al suo arrivo il ciambellano gli fece segno che c’ero io… lui scatta velocemente e mi porge la mano, solo che in Giappone regola vuole che non si dia la mano all’Imperatore quindi io ero anche un attimo bloccato perché non sapevo bene cosa fare. Gli diedi la mano e intorno a me scoppiarono tutti a piangere. Questa fu l’anomalia di quell’incontro, il resto fu normale”
Calcio giapponese che forse è stato sottovalutato nel recente passato: “I giapponesi sono forti ma gli mancano due cose: struttura fisica e malizia. Loro le furbate non è che non le fanno, non le vogliono proprio sapere. Noi con l’Italia in Confederations Cup prendemmo gol perché dei giocatori andarono su calcio d’angolo a bere, in Giappone quando succede si aspetta, altrove invece è normale che se succede ce se ne approfitti”
Fischio finale che forse è già arrivato, c'è la possibilità di un tempo supplementare? Magari con una nazionale: “Per una squadra di club non credo di avere più la pazienza di portare avanti certe battaglie con i presidenti. Voglio squadre dove mi vogliono i presidenti, non dove sono arrivato perché mi ha sponsorizzato qualcun altro, infatti firmavo sempre un anno alla volta. All’Inter dicono mi sia dimesso, ma non è stato così, semplicemente dissi alla società che non c’erano le condizioni per andare avanti perché stavano prendendo i giocatori che piacevano già a un altro allenatore. Per quanto riguarda le nazionali, non mi sono mai piaciute molto, si gioca troppo poco e bisogna fare troppe scelte più politiche che tecniche. Io ho sempre inciso sui giocatori giovani, con un percorso. Seguivo anche le Primavera, avevo la mappatura di tutti i giovani migliori in circolazione” .
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