Per i tifosi friulani lui è il Mister e l’articolo determinativo non è casuale. È il tecnico che ha riscritto le pagine più belle della recente storia dell’Udinese, l’allenatore delle due cavalcate verso i preliminari di Champions League. Si tratta di Francesco Guidolin. Ha giocato come centrocampista nell’Hellas Verona, con parentesi nella Sambenedettese, nel Bologna e nel Venezia, prima di intraprendere la carriera di guida tecnica. Ha allenato diverse squadre, ottenendo buoni risultati anche a Palermo. Ma è con l’Udinese che ha raggiunto probabilmente l’apice. La sua avventura in Friuli è suddivisa in due tronconi: una prima parentesi nel 1998/99 e quattro stagioni tra 2010 e 2014, con piazzamenti incredibili. Forse questi prestazioni sono figlie del suo grande amore per questa regione:
“Per me, Udine ed il Friuli sono sempre stati un territorio che mi ha sempre attratto fin da ragazzino. Non c’è nessun motivo particolare, ma mi piaceva andare verso Est, anche quando ero a casa mia, a Castelfranco Veneto. L’essere stato allenatore dell’Udinese per 5 anni è un motivo di grandissimo orgoglio. Ho conosciuto gente straordinaria, un territorio bellissimo e ho avuto la fortuna di avere bellissime squadre, ottenendo risultati straordinari. Siamo andati quasi sempre in Europa, per due volte ai preliminari di Champions League, per due volte in Europa League e solamente in un’occasione non abbiamo raggiunto la qualificazione. Ho la soddisfazione di aver lasciato ricordi per la tifoseria e le generazioni che verranno. Tutto questo mi riempie di orgoglio. Ho conosciuto persone speciali. La cosa più bella è il rapporto con la gente. Anche in questi giorni ho potuto toccare con mano quanto sia forte il legame tra me e la città di Udine in generale”.
Questo vincolo è ancora duraturo, nessuno si è scordato di lui e delle grandi prestazioni dei suoi ragazzi. E cosa ha dato il Friuli a Guidolin? Con grande emozione, il Mister risponde:
“Mi rimane tantissimo. Rimangono i bei ricordi, rimane un legame molto forte tra me e la città. Appena posso, passo volentieri con mia moglie e resto lì ad assaporare i gusti e l’aria di una città che amo”.
Indubbiamente questo rapporto si è rinforzato vittoria dopo vittoria, gara dopo gara. Ma quale di queste partite è particolarmente meritevole di essere ricordato?
“Ce ne sono tantissime perché sono andate spesso bene. Direi la prima volta che ci siamo qualificati per i preliminari di Champions, quando abbiamo pareggiato in casa contro il Milan all’ultima giornata. Andando più avanti, citerei anche la vittoria a Liverpool, il pari a Glasgow contro il Celtic con una squadra giovanissima o il successo contro il Paol Salonicco in Europa League. E anche in campionato ci sono partite da ricordare, come il 2-2 alla Juventus nel 1998, nel mio primo anno all’Udinese. Loro erano una corazzata. Sousa segnò il gol del pareggio a pochi minuti dalla fine. Ho tantissimi bei ricordi”.
Udine ha regalato tante soddisfazioni a questo sessantunenne di Castelfranco Veneto, ma c’è anche una delusione difficile da cancellare e dimenticare. La voce dell’ex tecnico si fa leggermente più tremolante. La ferita è ancora aperta:
“L’unico vero e grande rammarico che ho è la sconfitta ai rigori contro lo Sporting Braga nei preliminari di Champions League. Come tutto l’ambiente, la società e la squadra, avevo il grande desiderio di andare in Champions League, a giocare i gironi. Essere eliminati ai rigori è stata un’autentica mazzata per me. Per il resto non ho rimpianti. Avremmo potuto lottare per lo scudetto se dopo il primo anno avessimo mantenuto la stessa squadra, con l’arrivo di Danilo. Forse avremmo avuto la miglior Udinese della storia. Ma capisco anche che per lottare agli scudetti bisogna essere abituati a farlo. L’Udinese non è mai stata abituata a battagliare per il titolo. È stata abituata spesso, con me e con qualche altro collega, a lottare per le prime posizioni. E queste è già un grande orgoglio”.
E può essere un orgoglio essere un modello di riferimento per i suoi successori? Guidolin mantiene un profilo basso. Non è nel suo stile rimanere sotto i riflettori:
“L’importante è rimanere in Serie A. L’Udinese, con i Pozzo, è nella massima categoria da 20 anni. Credo che nessuna piccola squadra sia riuscita a fare tanto. Quindi, secondo me, anche questo deve rappresentare un orgoglio per la tifoseria”.
La chiacchierata ritorna per un attimo sulla dolorosa eliminazione ai calci di rigore contro lo Sporting Braga. Se si potesse rigiocare quella partita, maledetta per i bianconeri, l’ex allenatore riconfermerebbe le sue decisioni? Guidolin riflette prima di rispondere. Poi, in tutta sincerità, si lascia andare ad una confessione:
“Sì, rifarei tutto. L’unica cosa che non ripeterei è la scelta di far tirare il rigore a Maicosuel. Lo farei calciare ad uno dei giocatori che avevano disputato tutto il campionato, uno dei protagonisti della cavalcata verso il terzo posto. Farei tirare uno di loro, non ad un giocatore nuovo, proveniente da un altro paese e da un altro calcio; e se anche sbagliasse, non avrei nessun rimpianto. Invece, in questo modo, è rimasto dentro di me un po’ di rammarico, che col tempo va scemando. Ma allora fu veramente una mazzata”.
Dopo aver toccato un argomento particolarmente delicato, si parla delle sue passioni. E perché non mixare l’Udinese con il ciclismo, un altro dei suoi sport preferiti? Che ciclista potrebbe essere metaforicamente il club friulano? Il Mister sorride, divertito dal paragone:
“Sarebbe un corridore da classifica a punti, da Gran Premio della montagna, da maglia a pois. Sarebbe un corridore che si fa notare, perché l’Udinese è un esempio da seguire e copiato. E quindi significa che si è fatta notare”.
Una delle caratteristiche di Guidolin è la sua adattabilità al materiale umano che si trova a disposizione. Non un modulo unico, dunque, ma tante soluzioni tattiche da applicare. Quale può essere considerato il maestro principale?
“Il più importante è stato Osvaldo Bagnoli che ho avuto a Verona per tre anni. per me è sempre stato un punto di riferimento, un uomo di poche parole che si faceva rispettare, insegnando calcio e a giocare con coraggio e determinazione. Senza alzare la voce, ma con semplicità ed intelligenza”.
E tra i ragazzi che ha avuto a disposizione, c’è qualcuno che era un allenatore in campo? L’ex tecnico bianconero sorride:
“Sì certo. Non voglio fare nomi, ma indubbiamente lo zoccolo duro italiano è stato importante per me. Ci sono ragazzi che potranno dimostrare in futuro le capacità di essere allenatori, dopo essere stati leader in campo”.
Chissà se qualcuno di essi siederà un giorno sulla panchina bianconera…
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