Riccardo Guffanti, osservatore dell'Udinese, sarà tra i relatori che parteciperanno il 6 settembre al workshop LFScouting, fissato all'Holiday Inn di Cava de' Tirreni, sullo scouting di calciatori. L'osservatore bianconero, ai microfoni di Tuttomercatoweb, ha spiegato come è organizzata la macchina perfetta dello scouting del club friulano: "C'è una grande abitudine a Udine, che è il rispetto dei ruoli. Chiunque lavora come osservatore fa un lavoro molto particolare, ma i meriti per un lavoro di gruppo sono soprattutto di Giaretta che è il direttore sportivo, di Andrea Carnevale che è a capo dello scouting, e di Gino Pozzo che è a capo di tutta questa struttura organizzativa. È a loro che vanno i meriti per ogni giocatore scoperto".
Ci sarà anche lei a Cava de' Tirreni per presenziare al workshop sullo scouting, e in quella occasione Enrico Maria Amore presenterà LFScouting. Quanto conta per un osservatore passare alla tecnologia?
"Diciamo che intanto sono onorato del fatto che io sia stato chiamato a esporre il modello Udinese da un punto di vista dello scouting, quindi in qualche modo mi si riconosce questa capacità e ne sono onorato. Alle volte mi chiama anche il Settore Tecnico per tenere delle lezioni ai vari corsi per dirigenti sullo scouting, quindi sono contento per questa chiamata di Enrico Amore. Credo che il suo strumento sia innovativo e va oggi a supportare l'osservatore, sia che vada a seguire un giocatore sia che vada a visionare la gara, e va a completare bene la serie di strumenti tecnologici già esistenti. Quello di Enrico Amore è molto innovativo".
Quanto è migliorato lo scouting in Italia?
"Oggi ci sono corsi istituiti a Coverciano: sono un consigliere nazionale Adise, e insieme al Settore Tecnico organizziamo anche corsi per osservatore, una figura che in questo momento ha un riconoscimento ufficiale, finalmente, da parte dell'istituzione calcio. Le squadre sono ovviamente formate da calciatori, ma i calciatori vanno seguiti e selezionati. Chi dà la possibilità al ds e alla società di scegliere il giocatore migliore per le richieste fatte dall'allenatore, è l'osservatore".
L'Udinese comunque va sempre in cerca di giocatori che siano già pronti.
"Noi cerchiamo calciatori soprattutto bravi. È ovvio che principalmente cerchiamo giocatori bravi, e più si accorcia il percorso formativo, meglio è per la società. C'è sempre un percorso formativo, questo vale sia per gli stranieri, sia per gli italiani giovani che si avvicinano al calcio dei grandi. Gli stranieri in particolare devono inserirsi in un modo di far calcio molto difficile, soprattutto dal punto di vista tattico: l'Italia ti forma tatticamente nel modo migliore, questo è un concetto che ancora oggi viene riconosciuto all'estero. Per un ragazzo straniero la formazione è ancora maggiore rispetto a un italiano che esce da un campionato Primavera. Noi stiamo molto attenti a questo e siamo molto organizzati nell'aiutare questi ragazzi ad accelerare i propri tempi di maturazione, e più accelerano meglio è".
Avete pescato nel mondiale under 17 Leandrinho, attaccante del 1998, per fare un esempio: c'è qualche segreto particolare per voi nel seguire i giovani in prospettiva?
"Al di là delle esigenze che ha un allenatore, l'osservazione va fatta se si trova il giocatore bravo, al di là che poi possa inserirsi nel meccanismo tattico di un allenatore. In questo brasiliano giovane abbiamo trovato delle doti tecniche e fisiche alte in rapporto alla sua età. È ovvio che poi c'è un inserimento nel calcio dei grandi, ma quel giocatore magari può essere fatto maturare inizialmente non a Udine ma in qualche altra società con cui l'Udinese ha rapporti buoni, dove è necessario quel determinato giocatore: magari nell'Udinese quel ruolo è occupato da un altro giocatore bravo. Quindi ci sono due fasi, la prima è la ricerca del giocatore bravo e l'altra è la ricerca di un giocatore che si deve inserire subito dal punto di vista tattico all'interno della squadra. Quando abbiamo preso Danilo non è che abbiamo preso un giovanissimo, ma un giocatore che per bravura tecnica e mentale che serviva tatticamente alla squadra in quel momento, e proprio lui è diventato subito titolare. Ecco perché lo strumento informatico di Enrico Amore può essere di tanto aiuto in questo senso, per ottenere subito delle risposte sull'utilità tecnica e tattica".
Secondo lei perché tanti giocatori campani si esprimono meglio fuori dalla Campania?
"Diciamo che i napoletani, per modo di pensare calcistico, sono come i sudamericani. A Udine magari si possono esaltare perché trovano una struttura societaria che li aiuta a fare il proprio lavoro. Piuttosto io mi chiederei come mai ci sono giocatori campani talmente talentuosi (come Totò Di Natale) che non sono riusciti a trovare consacrazione nel loro ambito territoriale. Il fatto è che ci sono delle pressioni che si vivono in Campania anche sugli stessi campani, e sono pressioni più forti: c'è pressione lì non per emergere ma per affermarsi, ma c'è anche la buona organizzazione di una società come l'Udinese che ti aiuta a pensare al tuo lavoro. Di Natale ha dimostrato poi di essere cresciuto bene calcisticamente a Empoli, e si è confermato grandissimo talento a Udine, ma questo non vuol dire che lui non ama il suo territorio: Di Natale è fortemente legato alla Campania, ma sa benissimo che a Udine ha trovato la sua dimensione".
Autore: Francesco Digilio / Twitter: @FDigilio
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