Si sa: sotto la linea di galleggiamento si annaspa. Il Chievo oggi è così, un nuotatore che prova a tirar fuori la testa dal mare della classifica con il segno meno, ma finisce per agitarsi scomposto: più che tornare fra i vivi, come aveva chiesto D’Anna, anche prima di affogare aveva più che altro vivacchiato. E a questo punto, con due punti in cinque partite, il sotto zero è aggravato dal circondario e da antichi presagi: ammessi scongiuri, ma l’ultima volta con zero vittorie nelle prime cinque di campionato (2006­2007) il Chievo retrocesse. E non aveva penalizzazione.

SCALDABAGNO L’Udinese, ovvio, a quel naufrago in difficoltà non ha tirato salvagenti. Semmai gli ha tirato uno scaldabagno Rodrigo De Paul, el hombre del partido: quarto gol in cinque partite, sicuramente il più bello, più l’assist peril 2­0 di Lasagna, uguale a sette punti (su 8) portati in dote a Velazquez. Volendo sintetizzare: ha vinto la qualità dell’Udinese ­ è qualità anche inventare un tiro imparabile così, da 25 metri, praticamente da fermo ­ su quella non sbocciata del Chievo, tradito da Giaccherini e soprattutto da Birsa. E non è bastato che Stepinski vincesse alla grande il duello fra centravanti polacchi con Teodorczik: il fattore è stato annullato dalla lucidità di correggersi di Velazquez, che con l’adrenalinico Lasagna, a tu per tu con Sorrentino già due volte prima del 2­0 in ripartenza, ha minato gli equilibri difensivi del Chievo. E poi dal più classico caso di sliding doors: il golazo di De Paul era stato appena preceduto da un colpo di testa ­ guarda caso ­ di Stepinski, fuori di un niente: poteva nascere un’altra partita. In realtà l’Udinese aveva già dato segnali di voler rinnegare l’impressione di squadra di pura ripartenza: ieri rispetto alla gara con il Toro ha quintuplicato il fatturato di tiri nello specchio, approfittando della tendenza del Chievo a concedere tante conclusioni. Il resto, quando anche il muro Ekong Nuytinck su cui Velazquez sta edificando l’impermeabilità difensiva ha mostrato qualche crepetta, lo ha fatto Scuffet: sbattendo in faccia a Rigoni e poi al redivivo Giaccherini due parate pesanti come gol.

IL RUOLO DI MANDRAGORA A quel punto la partita era già stappata da un po’, per far dimenticare un primo tempo cloroformico: un’alternanza di sprazzi (una punizione di Birsa, un tiro di Pussetto, un’invenzione fulminante di Fofana respinta dalla traversa) più che di strappi. Una litania di azioni spezzettate, come da vangelo di due squadre in studio reciproco prolungato, bloccate oltre misura pur di non scoprirsi troppo. Anche se l’Udinese aveva perlomeno provato a proporre qualcosa di nuovo,rinunciando alla regia di Mandragora per avanzarlo, come da sua vecchia attitudine, quasi alle spalle di Teodorczik: per modulare a tratti il sistema in 4­2­3­1, non svuotare troppo la trequarti ed evitare di essere totalmente «depaulicentrica», offrendo anzi scambi di posizione e sponde all’argentino. Quello che dall’altra parte del campo è mancato nella coppia Birsa­ Giaccherini: un possesso palla gestito da Radovanovic è molto basico, se in questo Chievo non accendono la luce loro due è dura. Molto dura

Sezione: Notizie / Data: Lun 24 settembre 2018 alle 09:30 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Stefano Bentivogli / Twitter: @Sbentivogli10
vedi letture
Print