È stata una delle ultime icone della recente storia dell’Udinese. È arrivato in Friuli nell’estate 2008 dopo due stagioni al Napoli. Da allora è iniziata la sua avventura a tinte bianconera. Una storia fatta di successi e grandi imprese. Maurizio Domizzi si è conquistato l’affetto del pubblico friulano grazie alla sua generosità ed alla sua grinta in campo. Ha lottato, dando tutto sé stesso, senza tirarsi mai indietro. E questo suo modo di giocare è sempre stato apprezzato. Leader indiscusso del reparto difensivo, è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante all’interno di una squadra cresciuta negli anni fino a raggiungere vette inimmaginabili. A maggio ha salutato il Friuli per approdare a Venezia, ma non ha dimenticato gli 8 anni vissuti in bianconero:

“Sono sensazioni a cui ci si abitua con il tempo e dopo tanti successi diventano normali. Poi, quando ci si ripensa a bocce ferme, adesso che non sono ad Udine, ci si accorge di aver fatto qualcosa di straordinario, sia per sé stessi sia per la città e la società. Sono stati anni veramente importanti, con risultati concreti, ma belli anche per il livello di entusiasmo, per il coinvolgimento creato con la gente e gli abitanti”.

Un rapporto rinsaldato grazie agli incredibili risultati ottenuti in bianconero. Le due cavalcate verso i preliminari di Champions League con Guidolin sono stati l’apice dell’esperienza ad Udine. Il centrale difensivo romano di nascita racconta come ha vissuto quei momenti insieme al resto del gruppo:

“Inizialmente, sembrava impensabile. Poi è venuta fuori anche la consapevolezza, perché non solo avevamo giocatori forti, ma anche gente esperta, con tantissimi campionati di Serie A alle spalle. Poi ti rendi conto del valore reale. Negli anni a cavallo tra la gestione Marino e l’arrivo di Guidolin eravamo consapevoli che stavamo facendo qualcosa di straordinario. Realmente c’era materiale umano importantissimo su cui costruire qualcosa di bello ed importante. Ad un certo punto eravamo diventati consapevoli dei nostri mezzi. Tante vittorie e tanti risultati li abbiamo ottenuti perché eravamo maturati. Non ci sentivamo più una squadra di provincia. Ormai eravamo una squadra, che si era stabilita in un certo contesto e in una certa posizione di classifica”.

Effettivamente la crescita continua di quella formazione fu evidente, anno dopo anno. Forse, è mancato solamente l’acuto tricolore. Un trionfo solamente accarezzato nel 2012. Domizzi si ferma e riflette prima di rispondere. Si intuisce che è un tema non indifferente per lui, uno dei protagonisti indiscussi di quel periodo:

“Eh questo è difficile da dire. Però, inconsciamente, forse sì. Nel secondo anno di Guidolin, a febbraio giocammo una partita in casa con il Milan. Dominammo e perdemmo 2-1 negli ultimi dieci minuti. Tra l’altro si fece male Isla, che ebbe un brutto infortunio. Ricordo che, battendo il Milan, saremmo andati al secondo posto. Ed eravamo già a febbraio inoltrato, non erano le prime partite. Quindi, lì per un attimo… Forse usare la parola scudetto è esagerato, però c’era una consapevolezza diversa in noi in quel periodo. Se avessimo vinto quella gara, come avremmo meritato, forse si sarebbe potuto pensare veramente a qualcosa di più grande rispetto al risultato finale. Un traguardo comunque eccezionale”.

Il percorso verso questi traguardi ha avuto al suo interno tappe e momenti esaltanti. Quali partite sono rimaste nel cuore del difensore classe 1980?

“Sarebbe difficile elencarle tutte. Sicuramente quelle giocate nelle Coppe europee lasciano un segno particolare, diverso. Le vittorie di prestigio a Dortmund, a Liverpool, contro l’Atletico Madrid, contro il Tottenham sono ricordi che resistono al trascorrere degli anni. Credo che rimangano anche nella memoria dei tifosi dell’Udinese. Anche in campionato abbiamo ottenuto vittorie e risultati importanti, ma le gare in Europa hanno un sapore particolare ed innegabile”.

Vivere l’atmosfera magica di grandi stadi europei, come Anfield, ed affrontare grandi giocatori e squadre blasonate sono emozioni e soddisfazioni importanti. A distanza di tempo, Maurizio sta realizzato veramente cosa ha fatto nel corso di questi anni:

“Te ne rendi conto realmente dopo, anche adesso, quando ne parlo con gli amici o i compagni di squadra che a distanza di anni mi chiedono di quei successi. Sembrava una cosa impensabile per una squadra come l’Udinese ed invece, non dico che fosse una consuetudine, ma, ci sono stati tre o quattro anni consecutivi, in cui spesso abbiamo giocato in Europa League ad un livello importante, arrivando talvolta anche ai quarti. Era diventata un’abitudine per noi. A distanza di anni ci ripensi e sono cose che rimarranno per sempre perché un tifoso dell’Udinese li ricorderà sempre”.

In 171 presenze sono arrivati 6 gol. Ce n’è uno particolarmente apprezzato? Lui non si sbilancia:

“Ma no, non ne ho segnati molti. Ne ho fatti molti all’inizio, in quegli anni dove abbiamo conquistato sempre qualcosa di importante e sono stati determinanti per la classifica. Non ho un gol preferito in particolare”.

Ma in otto anni ricchi di soddisfazioni ci sono stati anche le delusioni ed i momenti di cui rammaricarsi:

“Direi che ho un solo rimpianto: non essere riusciti ad arrivare in finale di Coppa Italia quando abbiamo perso contro la Fiorentina in semifinale. Quello è l’unico rammarico che ho degli otto anni ad Udine. Potevamo regalare una finale a noi stessi ed a un’intera tifoseria. Resta il mio cruccio. Sarebbe stato bello far disputare a tutti i supporters una finale”.

La finale di Coppa Italia una delusione maggiore rispetto alla dolorosa eliminazione ai preliminari contro lo Sporting Braga nell’estate del 2012? Domizzi non ha dubbi:

“Paradossalmente sì, perché anche se è più importante il preliminare di Champions League, il gusto di poter disputare una finale mai sperimentata dall’Udinese nella sua storia, era decisamente diverso”.

Dalle delusioni, la conversazione si sposta agli allenatori con cui Maurizio ha avuto il rapporto migliore: Pasquale Marino e Francesco Guidolin. Il difensore centrale racconta cosa gli è rimasto dell’esperienza con i due tecnici:

“Dal punto di vista tattico poco, perché ero già un giocatore maturo ed esperto. Di Marino ricordo che giocavamo un calcio bellissimo. Forse la squadra più bella in cui sono stato. È un allenatore molto coraggioso, che cerca sempre l’estetica di portare a casa il risultato. Di Guidolin ricordo un grandissimo equilibrio in tutte le situazioni che si venivano a creare. Non solo un grande tecnico, ma anche una persona bravissima a gestire componenti caratteriali e mentali di ragazzi di età e paesi diversi. Sotto quell’aspetto mi ha insegnato tanto il Mister”.

Ed il Friuli? Cosa gli ha lasciato in questi 8 anni? Emozionato, Domizzi confessa quanto è stata ed è tuttora importante questa regione per lui:

“È semplice: per prima cosa mi ha regalato una figlia, che è nata ad Udine. Ho ancora una casa in città. Mi ha lasciato gli amici più stretti che ho tuttora. Dopo tanti anni, i miei figli sono cresciuti in Friuli e tutte le amicizie più importanti anche al di fuori del calcio sono lì. Tra i compagni l’unico con cui ho un rapporto particolare è Pinzi, ma perché ci conosciamo ben prima di approdare ad Udine. La cosa più significativa è che ho le amicizie più importanti in Friuli. Udine è stata ed è ancora la mia città adottiva”.

 

Sezione: Focus / Data: Sab 03 dicembre 2016 alle 17:00
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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