A Udinews TV Rodrigo De Paul ha rilasciato un’intervista parlando a trecentosessanta gradi della sua carriera.
Cos’è il calcio per De Paul: “Per me il calcio è tutto, vengo da un posto dove non possiamo comprare tante cose e una palla quindi era tutto, da lì è cominciata una carriera e posso dire che nella mia vita sia tutto perché quando non gioco guardo comunque calcio. Per quanto ci fossero problemi in famiglia sapevo di avere un club vicino casa a Sarandì e avevo tutti gli amici lì, quindi ero felice. La scuola non mi piaceva molto, era mio nonno a portarmi agli allenamenti, era l’unico a cui davo ascolto”.
Il sogno: “Il mio sogno era la maglia della Nazionale e ci sono riuscito, per tutti i calciatori penso sia la cosa più bella del mondo. Ho sempre avuto il sogno di fare il passo successivo, quando ero nelle giovanili arrivare in prima squadra, quando ci sono arrivato poi andare in Europa. Diciamo che la Nazionale era quello un po’ più grande”.
In realtà Rodrigo non ha soprannomi particolari: “In Argentina mi hanno sempre chiamato con il mio nome, qualche giornalista magari mi chiamava con il cognome, ma non ho mai avuto soprannomi particolari a differenza dei miei connazionali. Da piccolo mi chiamavano RoD”.
Quando era in Argentina ha potuto imparare da qualche campione: “Ho giocato con Camoranesi al Racing, mi parlava molto dell’Italia, in particolare di Totti, di come si posizionasse in modo diverso dagli altri per ricevere il pallone. Ti fa crescere ascoltare i campioni”.
Il Racing: “Il Racing mi ha dato tutto, mi ha fatto crescere come calciatore come uomo, mi hanno anche ascoltato in un momento complicato della mia vita. Il mio primo gol è stato veramente un bel gol e lì è iniziata una carriera che mi ha dato tante soddisfazioni”.
Il biennio al Valencia: “Si pensa sempre a cosa si poteva fare di più, senza negatività perché non serve. Il primo anno è stato bello, abbiamo centrato l’obiettivo Champions League, ho giocato quasi sempre. Meno il secondo perché è andato via il presidente, il direttore, dopo poche giornate anche l’allenatore… erano un po’ di mesi che volevo rientrare in Argentina, dalla mia famiglia, non volevano lasciarmi andare, ma ero convinto e sono quindi tornato al Racing”.
Il passaggio all’Udinese: “L’Udinese mi aveva cercato già quando andai al Valencia, poi mi richiamò alla fine del prestito al Racing, quando una squadra ti cerca con questa voglia è difficile dire di no. Sapevo poi della storia del club e della società, in Argentina il calcio italiano piace tanto. È un calcio più tattico rispetto a quello spagnolo, più difficile, ma mi piace così”.
Quest’anno la consacrazione: “La testa per il giocatore è quasi tutto, puoi allenarti bene quanto vuoi, ma se la testa non è in forma non ce la fai. Magari ha inciso quanto successo questa estate, che mi voleva la Fiorentina. Ho parlato con la società e mi hanno fatto sentire importante. Però non è una cosa sola che ti cambia”.
Il numero 10 sulle spalle è stato spesso oggetto di discussione: “Mi piace questa responsabilità, mi motiva, ma io fin dall’inizio ho detto che non venivo per far dimenticare Totò, è impossibile. Secondo me tifosi e giornalisti agli inizi qualche parola sbagliata l’hanno detta, ma poi penso di aver fatto capire cosa posso dare. Faccio un gol e sono il dieci, non lo faccio e non merito quel numero, il calcio è anche un po’ così. In questo periodo, dove facciamo pochi punti, sono tranquillo, perché vedo che noi, dirigenza e tifosi remiamo nella stessa direzione. Sono convinto che i risultati arriveranno, anche con il nuovo staff siamo tutti insieme, nessuna critica a quello precedente, ma ora lo si vede ancora di più. Abbiamo voglia e fame di punti, vogliamo dare una gioia ai tifosi. Il giorno in cui mi è venuto a trovare Di Natale mi ha chiamato un amico comune e mi fa “c’è una sorpresa, vengo a casa tua”, vado ad aprire e c’era lui con Totò. Era un calciatore straordinario, non sapevo neanche cosa dire. Un giorno incredibile”.
Ora l’Udinese ha una piccola colonia argentina: “Quando sono arrivato non c’erano argentini, c’era solo Duvàn che era colombiano, è stato un approccio un po’ complicato, Quando è arrivato Musso quindi l’ho aiutato a trovare casa, abbiamo parlato, ho cercato di mettermi a disposizione nei primi mesi. Pussetto è un giocatore che può fare la differenza, mi trovo bene con lui, ma anche con Kevin e Darwin”
L’arrivo in Nazionale: “Quando mi è arrivata la chiamata dell’Argentina ero in albergo e non stavo più nella pelle, piangevo di gioia. L’obiettivo ovviamente è restarci, arrivando magari in Coppa America. È un periodo molto bello per la nostra Nazionale perché siamo tutti ragazzi giovani, ho legato di più con Pereyra perché l’ho conosciuto quando è rientrato a Udine per recuperare un infortunio, ma anche con Dybala e Icardi. Chiaramente speriamo tutti che rientri Messi, giocare con il migliore sarebbe la cosa più bella. Quando ero piccolo guardavo molto Riquelme, Totti, ma io voglio fare la mia carriera”.
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