Pozzo e la voglia di spendere. Pozzo e la voglia di cedere l’Udinese, dicendo basta con la propria terra dopo trent’anni. Due temi che quasi ciclicamente tornano a galla, guarda caso quasi sempre quando scatta una crisi di risultati. Ora, cosa frulli nella testa della famiglia di manager non ci è dato a sapere. Una domanda però che trovo strano che nessuno si sia fatto è “Ma quanto conviene realmente a Pozzo tenere la proprietà dell’Udinese?” Una domanda che non ha una risposta così banale, anche andando a guardare il momento economico che sta vivendo l’Italia intera. Non è un caso se gli interessi della famiglia un po’ alla volta si siano spostati sempre più verso Spagna ed Inghilterra.

Ognuno potrà sicuramente dare la propria risposta al quesito, i miei sono ragionamenti dettati dalla logica, visto anche che il reale bilancio societario è ovviamente segreto, o comunque non di conoscenza pubblica. Una squadra di calcio però è una società per azioni. Perciò il primo obiettivo dev’essere il guadagno. O quantomeno ci dev’essere alle spalle un proprietario in grado di coprire con denaro proprio eventuali deficit (cosa che per anni hanno fatto i Moratti, Berlusconi, Garrone, etc…). Almeno ufficialmente, Giampaolo Pozzo prima, e Gino Pozzo poi, non sono più imprenditori da diverso tempo. È rimasto qualcosa in Spagna, in quel di Barcellona (da qui il vecchio acquisto di alcune azioni dell’Espanyol, mai rivelatesi fruttuose e quindi cedute), ma per il resto, a parte qualche giro di affitti di proprietà e altre cose minori, a Pozzo non è rimasto quasi nulla. Ribadisco, ufficialmente.

In teoria quindi l’unica impresa che la famiglia Pozzo ha in mano è quella calcistica. Si è subito gridato alla mancanza di voglia di fare un salto di qualità in questa stagione dopo il mancato acquisto di Pavoletti. Però l’Udinese poteva realmente permettersi un esborso del genere? Analizziamo un secondo quali sono le possibili entrate in casa friulana. Lo stadio non dà particolari introiti, se è stato rimpicciolito è perché c’era scarsa affluenza, non perché fosse sempre pieno. Però pensandoci fa strano. Il Friuli, regione dal milione di abitanti, ha una squadra stabilmente in Serie A, che ha persino gettoni di presenza in Champions League ed Europa League, eppure riusciva a riempire il vecchio Friuli (40 mila posti) solo quando c’era un afflusso di tifosi dal Veneto, pronti a sostenere la squadra… avversaria. Togliendo dunque gli incassi al botteghino, ci sono quelli degli sponsor. Però se il fornitore ufficiale dell’Udinese Calcio è la HS un motivo ci sarà. Evidentemente il merchandising targato con lo stemma della famiglia Savorgnan non è che tiri moltissimo. Anche in passato al massimo si è potuti ambire a una Lotto o una Le Coq Sportif. Da queste parti Adidas, Nike, Puma o anche solo Joma non si sono mai viste, nemmeno quando la squadra era tra le prime cinque. Il main sponsor poi. La Dacia non è uno dei marchi principali nel mercato dell’automobilismo e quindi anche i soldi versati all’Udinese di riflesso non saranno probabilmente molti. In passato ci sono stati Gaudì, Telit, persino Postalmarket, ma grandi marchi mai… forse solo la Kia, per un breve periodo. Dunque anche l’ipotesi di incassi consistenti dagli sponsor è da scartare. Quindi da dove arriva l’ormai arcinoto stereotipo del Pozzo ricco che non vuol spendere? Chiaramente dalle plusvalenze incredibili fatte durante la sua gestione. L’impianto scouting messo in piedi da Lo Monaco, e perfezionato da Marino, per anni, se non decenni, ha sfornato talenti di grandissimo livello. Partendo con i vari Bierhoff, Amoroso, Fiore, Giannichedda, finendo con Zielinski e Muriel. Tutta una serie di giocatori venduti a cifre astronomiche. Ecco, lì l’avere l’Udinese per Pozzo ha iniziato ad acquisire senso, se parliamo solo del lato economico. Perché si pensa sempre che il paròn sia un tifoso come gli altri, ma non lo è. È sì il primo dei tifosi, ma è anche quello che deve tenere a posto il bilancio, perché ne va delle tasche della squadra e delle proprie anche.

Ok, il tifoso può dire “io mi abbono, anch’io spendo soldi nell’Udinese”, vero, giustissimo. Però il tifoso l’anno dopo può scegliere di non abbonarsi. Pozzo se si ritrova un giocatore con un milione di ingaggio per cinque anni, non può scegliere poi di non pagargli lo stipendio nel caso in cui non renda (il rischio per esempio che si poteva correre con Pavoletti). Dove sta però il punto di tutto il ragionamento? Che l’era post Guidolin sta facendo un po’ alla volta sì che per Pozzo non abbia, a livello manageriale ed economico, alcun senso tenere l’Udinese, una squadra che non gli dà alcun vero introito. Le plusvalenze negli ultimi due anni sono state decisamente più basse degli anni scorsi, sintomo di qualche ingranaggio che ha iniziato a non funzionare, forse per vecchiaia, chi lo sa. Sta di fatto che quest’anno sono stati incassati vendendo giocatori 20 milioni. Nella campagna acquisti sono stati spesi 20 milioni. Parità assoluta. I bianconeri dunque si stanno autofinanziando, come tanti altri club della Serie A. Un colpo come Pavoletti avrebbe costretto poi la società a ingegnarsi non poco per coprire tutte le altre falle. Il Cagliari alle spalle ha Giulini. Per chi non lo conoscesse, è un imprenditore minerario. Mi sembra strano che nessuno si sia mai chiesto come faccia una semi neopromossa a portare in casa gente con gli ingaggi di Borriello, Bruno Alves, Isla, Van der Wiel… Il presidente soldi da investire (e che non arrivano dal calcio) ne ha e, una volta perso Borriello, non è stato evidentemente un grossissimo problema scucire i 12 milioni richiesti dal Napoli e il milione di ingaggio che voleva il ragazzo. Ad Udine la situazione è diversa. Lo stipendio al giocatore si poteva dare (Duvàn Zapata era qua con un contratto da 800 mila euro più 200 mila di bonus, stando alle spie della Gazzetta dello Sport, dunque un milione tondo tondo). Il problema è che poi andando a dare una cifra del genere ai partenopei non saresti riuscito a prendere Pezzella, Larsen e tutta una serie di altri giocatori necessari affinchè una squadra arrivi in fondo al campionato. Qualcuno invoca il Watford e i milioni che Pozzo ha versato nelle loro casse tra liquidi e giocatori. Però dall’Inghilterra l’anno scorso erano arrivati due giocatori potenzialmente d’alto livello per la Serie A, ovvero Kums e Penaranda. Questi due giocatori poi gli Hornets non li hanno mai visti, per vari problemi, quindi prendendoli si è pensato prima all’Udinese. Si ragiona poi come se al Watford decidesse solo Pozzo. È vero che in Inghilterra gli incassi sono mostruosi, ma non si può pretendere che accettino a scatola chiusa di investire milioni in un giocatore da girare poi altrove. Watford e Udinese sono due realtà separate come ha sempre detto Pozzo.

Mettendoci poi nei panni di Pavoletti, verrebbe da chiedersi cosa ne pensasse di farsi un viaggio in Inghilterra, firmare per il Watford, essere ufficialmente un giocatore della Premier e poi segnare per l’Udinese. Chi lo sa se avrebbe accettato un giro del genere. Sta di fatto che, ora come ora, le voci di una possibile cessione non stupiscono. L’Udinese non riesce più a fare plusvalenze. Forse tornerà a produrle grazie ai vari Jankto, Fofana e Samir, ma forse. Però, a livello puramente manageriale e non affettivo, la squadra ora come ora sarebbe un investimento a perdere per qualsiasi imprenditore, anche il più voglioso. Discorso che vale un po’ in generale. Gli imprenditori italiani non ci sono più e quelli esteri vogliono il marchio. Ci devono guadagnare. La Roma di Pallotta se non incassa i soldi dell’Europa uno o due top player deve cederli. Il Milan ha sì fatto una campagna acquisti da centinaia di milioni, ma chissà quanti soldi rientreranno sbarcando nel mercato cinese con forza grazie ai nuovi investitori. L’affetto conta nel calcio, tantissimo, ma in sede di calciomercato valgono i bilanci, non la voglia, perché se bastasse quella sono certo che Pozzo avrebbe portato a casa Pavoletti in un batter d’occhio.

Sezione: Focus / Data: Ven 08 settembre 2017 alle 08:00
Autore: Davide Marchiol
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