Niente da fare: ce la mettono tutta, i bianconeri del signor Davide Nicola, a riportare un vecchio come me alla propria gioventù.

Per evitare strali da lettori puntuali (a loro volta non sempre precisi), ricorro all’almanacco per ricordare qualcosa di simile. Che ho abbastanza presente, delusione di un adolescente che ci crede(va) sempre. Ma voglio essere altrettanto puntuale e più preciso.

Annata 1980-81, undicesima giornata: quattro pere, la terza su rigore, ad opera di Brady, Causio, Bettega e Marocchino. 

All’epoca la partita si ascoltava alla radio; era l’Udinese di Giagnoni, ci metteva l’anima ma la sperequazione era troppa. Si giocava con gente come Maritozzi, Cinquetti (subentrato, così non offendo i precisi); col povero Charlie in porta, Fanesi, Bacci e Fellet.

Erano gare dal destino ineluttabile, un po’ come oggi; nelle quali però ci si provava. Ci si provava. Ci si provava.

Sarebbe facile ammazzare di parole il povero Beniamino albionico, un Seko in cerca di sé stesso (ma non lo troverai, amico mio, vagando garrulo per il campo come una bandiera sballottata, perdendo palloni sanguinanti reti per gli avversari); quest’ Opokuche dimostra attenzione zero: e chissene se giocava in Tunisia, non può affettare gambe a centrocampo (giallo pesante) e stendere furbi avversari in area.

Piccolo inciso: grande partita del ‘classe 2000’ Moise Kean. Il quale, però, alla fine si mette a irridere l’avversario tanto che Allegri (non un pirla) lo toglie. Ecco: quando anziché in faccia ad Opoku farà la stessa cosa di fronte a Godìn e Skriniar guadagnerà un po’ più di rispetto da parte mia.

Sarebbe ancora più facile crocifiggere Davide Nicola: evidentemente in settimana non ha preparato mentalmente al meglio questa gara.

Vieppiù per chi, come me, non ha mai nascosto qualche dubbio nella maniera, diciamo sparagnina, con la quale il piemontese affronta qualsiasi avversaria, quanto meno all’inizio: Chievo come Juventus.

Invece cercherò di limitarmi: ieri Nicola è stato devastante, specie quando ha provato (bontà sua) a trovare lati positivi in una serata da ricordare come la peggiore della stagione, al netto dell’avversaria. Mi permisi di non condividere l’entusiasmo del mister di settimana scorsa, quando elogiava la trovatamentalizzazione della squadra; la quale per me aveva svolto un compitino diligente contro due dirette concorrenti in casa. Due vittorie, sì, ma soffrendo sbuffando non poco. 

Ma Davide ieri sera è stato tradito dai suoi, pur nella sua solitatattica: avrà pensato che una difesa ordinata avrebbe potuto frustrare gli iniziali attacchi dell’avversaria e poi, nel solito secondo tempo di garra, hai visto mai…

Esatto: mai. La porta, l’abbiamo vista mai.

Le cosidette seconde linee juventine (Enre Can? Bernardeschi?) hanno messo in campo energia, applicazione e determinazione; di contraltare le scelte friulane (obbligate) hanno risposto ‘assente’: detto di Beniamino e Seko, sottinteso una plètora di insufficienze, ho visto un ‘diéz’ impegnato a passeggiare per il campo. Ammirevole il lancio per la rete di Lasagna (gran gol del 15 friulano, che avrà fatto andare di traverso la vittoria al perfezionista Allegri), ma per in precedenza impalpabile come la cipria delle damine del settecento. Mi sono fatto persuaso che Rodrigo è quella roba lì: dialoghi iberico-castellanos con Julio lo avevano rivitalizzato; via il salmantino è riprecipitato nella sua altrovistica confusione, per la quale (secondo i suoi groupies) è sempre causa di chi lo schiera in campo. Se lo mettono in mezzo sono colpevoli perché lui è esterno; se lo mettono esterno sono colpevoli perché dovrebbe giocare da mezzala. Mettetevi d’accordo col vostro pensiero, soprattutto gli auguro le migliori fortune alle dipendenze di Steven Zhang e non si crucci se lo annovero nella ‘gente di passaggio’.

Aggravante? La fascia. Quando la indossa Behrami vediamo energia, animo, anche botte ma una certa qual ‘pugna’; al suo braccio, o a quello di Kevin scorgo solo tristezza.

La settimana scorsa è corso un anno dalla scomparsa ‘inaccettabile’ del capitano fiorentino; chiedetevi come mai quel ragazzo, la dote migliore del quale era l’educazione, la gentilezza, sia tanto rimpianto anche in campo al netto delle sue capacità di difensore: ve lo dico io. Si chiama carisma, e non si acquisisce con tatuaggi, cappellini, sigle o consimili. Il carisma conduce al rispetto, il rispetto non si chiede né si dà: si ottiene.

Scelte azzardate, che non hanno pagato: due reti causate da palle perse e scoperte; poi un errore che conduce al rigore, che nemmeno fra gli amatori sarebbe accettabile; una quarta rete dove Matuidi (forte di testa come Charles e Bettega messi assieme) salta da solo.

Per come sono fatto, per com’è andata al posto di Nicola mi sarei dimesso. Ma non vivo confortevolmente in questo mondo né faccio l’allenatore, per cui okay, ci risentiamo per il rinnovo.

A conforto di chi tiene la contabilità nel cambio tecnico avvenuto questa stagione, ricordo che all’andata finì 0-2, con due palle perse altrettanto sanguinose e tre belle parate di Scuffet, alla sua miglior partita assieme a quella di Verona. Si colse un palo con Barak, Lasagna sciupò un’occasione a venti centimetri dalla porta;si giocò remissivi trentacinque minuti e subendo il giusto nel resto della gara, ma giustamente stigmatizzammo Velàzquez. Tanto per la cronaca. Qui di fenomeni non ce ne sono, rari come un equilibrio in campo che non c’è

Alla gara di Napoli, dove troviamo una formazione tecnicamente ancora meno giocabile della Juventus. Fra infortuni e squalifiche non so proprio chi giocherà dietro: io metterei Larsen, cosa che avrei fatto anche ieri sera invece di insistere con Opoku, uomo di questi tempi non affidabile. Io credo che fra chinare la testa per porla sul ceppo, come ieri sera, resistendo (…) undici minuti nei quali la Juventus ha realizzato una rete e sfiorate altre due; e giocare alla morte, subendo mortali contropiedi ci sia una via di mezzo. Una difesa attenta, con un capitano che aiuti a tenere alta la palla facendo respirare i compagni di retroguardia. 

Poco da dire: si deve vincere contro il Genoa di Prandelli, formazione potenzialmente buona ma a sua volta preda dei propri dubbi.

1980 – 2019: trentanove anni dai quali mi passano davanti agli occhi mille sfide: Platini e Zico, Zoff contro Causio dal dischetto, Bierhoff contro Lippi che chiede un fuorigioco inesistente quando, novembre 1995, si rivinceva in casa contro i torinesi dopo un trentennio abbondante. Ecco: ieri sera non ho provato affatto rabbia, né dispiacere, né rammarico: ho provato pena per i sostenitori che ancora ci credono.

E io credo che nemmeno alla proprietà vadano bene queste non-prestazioni. Arriviamo alla fine, facciamo questa decina di punti e poi pianifichiamo il futuro. Assieme. Pianifichiamo. È obbligatorio: improvvisare è troppo rischioso, per tutti.

Sezione: Primo Piano / Data: Sab 09 marzo 2019 alle 13:51
Autore: Franco Canciani
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