Ci sono cose più importanti del calcio. Al 93’ del Dall’Ara non me ne venivano in mente quante, ma di certo esistono.
Quante gocce di rugiada intorno a me; qui c’è il sole, le gocce forse lacrime per una gara presa, accartocciata e gettata nel bidone dell’apposito riciclaggio. Escono quelli un pochino rancorosi e sventolano il drappo rosso del presunto saggio, che ascoltava ‘la musica anni ottanta già nei settanta’, di fronte a chi, come noi, non è arrabbiato quanto deluso. Deluso.
O forse hanno ragione: ‘siamo la stessa storia, è un fatto: un passo avanti e due indietro. Di fronte l’Udinese aveva un Bologna con carattere, va bene; storia, va bene: ma una cifra tecnica discutibile pur nella serie A attuale. Eppure…
Eppure i bianchineri giocano mezz’ora splendor, al netto di una follìa arbitrale (Manganiello si rifiuta di cambiare idea pur avendo rivisto al VAR un contrasto in area fra Svanberg ed Ekong, oggi il peggiore in campo), poi subiscono rete sull’improvvisazione del paraguayo Santandèr, brutto a vedersi ma molto più decisivo del KL di oggi. Sul rigore richiesto stiano tranquilli i rossoblu: oggi Pioli, salice piangente viola, ha visto fischiato penalty a favore per un tuffo (ennesimo) di Chiesa. Il quale dovrebbe ricordare la lezione toccata ad altro (storico) gigliato, in onore del quale fu coniato il termine chiarugismo. Domenica tocca a Inzaghi.
La rete del neoentrato Orsolini suggella una ripresa nella quale l’Udinese scorda di scendere in campo, lasciando il palcoscenico ai domestici che se la portano, meritatamente, a casa.
E a me restano solo le impressioni, ultime, di settembre.
L’impressione di una squadra, sì, ma incompiuta: a questi ragazzi manca l’istinto-killer che permette di chiudere le gare. Leggo il reportage dell’inviato (online) di una testata sportiva colorata di speranza, secondo cui l’Udinese sostanzialmente tira in porta una volta sola nel primo tempo. Lo perdòno, perché probabilmente tiene, tanto, ai propri colori che non sono i miei. Un po’ meno perché dovrebbe leggere in maniera imparziale le gare senza citare motti di Joe Saputo. Già: perché i salmantini in porta ci sono andati otto volte. Otto. Non una, otto: e concretizzarne una sola è un delitto che Eupalla fa pagare, e caramente. Serviti.
L’impressione di un don Julio che stavolta non la legge afffatto bene: solito cambio di esterno, solito cambio di punta, avrebbe dovuto intuire il disagio di Valon Behrami, nervoso ammonito stanco: dentro Barak. Scommetto il proverbiale euro che Orsolini quella palla non l’avrebbe mai ricevuta.
L’impressione che, come nella ripresa, smetta di giocare DePaul caschi il palco. Fofana è bravo a spaccare il campo in due, ma gli manca ancora la lucidità per mettere palla in profondità al termine delle sue progressioni. Oggi l’assist migliore della ripresa lo ha realizzato Teodorczyk, tra l’altro unica palla decente giocata dal polacco (che difenderò sempre e comunque).
L’impressione che fin quando Teo e Kevin non si svegliano, faremo fatica a concretizzare. Facile, lo so, ma così è.
L’impressione (ma lo sapevamo già) conseguente che anche quest’anno, almeno per una buona parte, ci sarà da soffrire. Nelle prossime cinque gare saranno bravi se realizzeranno tre, quattro punti. O forse giocarsela contro la laicissima Ostensione Sindonica della maglia numero sette, o Carletto o Ringhio è più facile che contro il BiEffeCì.
L’impressione che negli spogliatoi Daniele Pradé si sia fatto sentire: al microfono della televisione societaria ha affermato come in certi momenti più che i giocatori si devono vedere gli uomini. Aggiungere altro sarebbe inutile.
L’impressione, come detto, che oggi il Bologna alla fine abbia meritato: per la voglia, il carattere, non certo per il gioco. Era (giustamente) tronfio, Inzaghi Filippo da Piacenza, per una classifica che dice sette punti. Invece però (esattamente come faceva ai tempi rossoneri, ma leggete le interviste di Rami ed altri ex giocatori milanisti) spiega le gare a metà: c’era rigore (vero), abbiamo preso gol quando controllavamo la gara (falso), insomma esattamente lo stile di quando perdeva a San Siro ma diceva ‘però abbiamo conquistato tante punizioni laterali e calciodangoli (sic!)’. Più forte del fratello sul campo da gioco, altra categoria Simoncino nell’allenare.
Vince il Bologna, chapeau ai felsinei (termine quasi carosiano); perde l’Udinese che merita schiaffi e basta. Perché, in fondo, cosa sia l’Udinese ‘adesso non lo so’. Io però sono solo il suono del mio passo.
Tranquilli: il sole tra la nebbia filtra già: il giorno come sempre sarà.
Piccolissimo inciso, praticamente un off tread: oggi un inviato in terra petroniana (ciottianamente parlando) ha citato l’ufficio facce, affibbiando la definizione a Gianni Brera.
Amico mio, sai quanto stimo te e la tua passione per il calcio; sai quanto t’invidio la giovanezza per me perduta. Ma sono cresciuto all’ombra di galline che non sarebbero animali intelligenti, di ieppattattà… Di Armando che casca dall’auto, ma se ero dietro stavo andando. E soprattutto sono cresciuto accovacciato sotto quella sequoia della sagacità che trentasei anni fa meno diciassette giorni decideva di salirsene a ridere di noi, senza nemmeno salutare. Ufficio Facce è stata un’invenzione di Pepinoeu Viola, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, relativa ai tipi che affollavano il loro bar. Mi pare si chiamasse Gattullo.
Ci sarà ancora, quello che puliva i cessi? E il bestemmiatore? Dalla faccia Enzo, Beppe, Cochi e Renato dovevano divinare la fede calcistica. Ma soprattutto, c’è ancora il bar pasticceria Gattullo?
Tanto Vi dovevo. Parlare, ricordare Beppe Viola dopo la disarmante recita udinese del secondo tempo è balsamico. Noi. Quelli che il calcio è bello se si vince, ‘non so, a me piace Rachmaninov’ quando si perde.
E l’anno scorso mi sono fatto endovenose di Rach-3. Facciamo che quest’anno cambi la musica.
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