Che dire? Che se la buona sorte alla fine ti consente di portare a casa quantomeno un punticino contro la S.P.A.L. di Ferrara, prendere gol al 94’ da Luca Rizzo, venticinquenne genovese che non segnava da tre anni, giustificherebbe la sfuriata di Delneri alla fine della gara. E ancor di più la nostra e quella delle anime al seguito.

Giustificherebbe: perché (anche?) oggi Gigi l’Aquileiense ci ha messo del proprio per una formazione onestamente difficile da condividere, dopo la gara persa domenica scorsa.

Non inizio nemmeno a dire chi salvo, chi no; chi ha dato tutto, chi no: tre giocatori che guardano l’avversario e gli permettono di metterla all’angolino chiudendo di fatto la gara sono obiettivamente un’immagine esemplificativa di quanto la squadra, ad oggi, non ci sia. E lasciate in pace Scuffet, oggi gli sbucavano davanti da ogni parte. Responsabilità zero.

Sfido chi, dopo l’Alkmaar, mi imputò di essere troppo duro con qualcuno della difesa a ribadire i suoi concetti: due gol dal Frosinone, due dal Chievo, tre dalla S.P.A.L.: ma di cosa vogliamo parlare?

È vero che dallo 0-2 l’Udinese era riuscita a risalire, con una capocciata di Nuytinck ed un rigore di Théréau, al pari; ma lo è altrettanto che i ferraresi, fino a quel momento, avevano giustificato il doppio vantaggio con un catenaccio da antologia ed un contropiede veloce ed efficace. Il mister biancazzurro rispetta il proprio cognome, praticando un calcio elementare ma, appunto, efficace. L’Udinese rumina la palla, la gira attorno all’area avversaria ma Gomis i guanti se li è sporcati poco. O nulla.

Oggi qualcuno, commentando la mia intervista ad un giocatore estone dell’A.P.U., bonariamente mi rimproverava di dedicarmi più alla pallacanestro che al calcio. Ribadisco quel che gli ho risposto: che gare come quella di domenica scorsa, per un cantore di cose bianche e nere come mi piace pensarmi, rappresentano un dolore quasi fisico. Un insulto per la tradizione, per la maglia, per i 650 tifosi che ammirevoli e colorati stanotte rientreranno alle tre dopo aver goduto del nulla più totale per un’ora abbondante, di molto poco nella mezz’ora finale. E quel giocatore, di pochissime parole, che ieri per sei minuti ho distolto dall’allenamento, la maglietta-slogan tanto sbandierata (“daremo l’anima”) ce l’ha tatuata: nel cuore, nel cervello, nello spirito. E come lui capitan Miki Ferrari e tutti i loro compagni. Quelli dell’Udinese? Me lo dimostrino: ce lo dimostrino.

Dopo l’ennesima non-partita di stasera il dolore aumenta: perché sono centoventi gare, forse più, di delusioni e magre, di poco gioco, di poco spessore. Mi diranno che i giocatori hanno dato tutto: fosse così mi preoccuperei, per loro. Zero punti, zero gioco, zero spettacolo. Hanno girato la pagina, ma dalla parte sbagliata quasi fossero di fronte ad un libro giapponese: e la pagina di fronte a loro, oggi, è bianca.

E allora come posso io cantare di loro con tre bocce di piombo sul cuore? Come posso pensare che il lavoro in allenamento rimedi a tutto, quando il punto di partenza è questo? Su cosa dovete lavorare, amici miei? Come pensate di potervi togliere soddisfazioni quando con due squadre, una media e l’altra che onestamente contro l’Udinese di Pianca e Arrigoni avrebbe beccato, avete subìto cinque reti e zero punti?

Adesso basta. Lo dico a me, non a Voi: Voi continuate come volete. Oggi la seconda rete è opera di uno dei giocatori seguiti dalla “Società”, ma evidentemente ritenuto non all’altezza, o forse italianità e costo erano ostacoli proibitivi? Ma “la Società” non sbaglia mai, è un modello, un progetto, valorizza i giocatori che acquista pescando ai quattro angoli del mondo. Ma dopo Zielinski, chi? Okay Kuba e Seko, ma oggi come oggi sono lontanissimi da quelle figure che, nei nostri sogni, facevano la differenza. Chi li piglia con plusvalenze significative? Perché è questo l’obiettivo: o no?

Tre cose. Poi basta, lo dico a me non a Voi.

Primo: capisco che il talento di Privas possa sentirsi offeso da qualche fischio della tifoseria bianconera al seguito: ma se al tavolino del bistrot, sorseggiando assenzio e leggendo “Le Figàro” riflette sul fatto che ognuno e ciascuno di loro preleva dalle proprie tasche l’ammontare necessario per viaggiare al seguito, da un emolumento medio mensile d’un ventesimo rispetto al suo, unito al fatto che in città nessuno gli rompe le scatole, magari si ponga delle domande e si dia, con rispetto, delle risposte.

Secondo: a me il VAR ha già rotto i cabasisi. La squadra di casa avrebbe vinto anche senza moviole, e nessuno aveva protestato né sulla rete annullata a Lazzari né tantomeno sul rigore subìto da Lasagna. Si vada avanti, ma snaturato per snaturato facciamo un tempo effettivo di 70’. Sennò alla fine sette minuti di recupero quando se ne sono persi sei solo per i due episodi non rendono giustizia alla gara.

In ultimo quel che sarà di me. Io sono più o meno come Mandrake, il giocatore ai cavalli impersonato da Luigi Proietti: sono milionario anche senza una lira, e in bolletta anche col conto pieno. Nel senso che per questi colori continuerò a smaniare, soffrire. A scriverne: avevo l’intenzione di difendere ad oltranza la mia fiducia iniziale. Dopo stasera, però, nulla sarà lo stesso. E continuerò a scrivere di quel che vedo. Purtroppo. Per me.

Novara, Frosinone, Crotone, Carpi, S.P.A.L.: mancherebbe solo il Benevento.

L’Udinese, purtroppo, è capace anche di questo.

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 28 agosto 2017 alle 08:00
Autore: Franco Canciani
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