Per l'ennesima volta mi ritrovo a scrivere un articolo su Luca Gotti. Il nostro allenatore, pro tempore specifichiamo, continua ad essere un caso alquanto misterioso: la società gli conferisce pieni poteri, lui ad ogni occasione utile ribadisce di voler tornare a fare il secondo. Primo ed unico caso al mondo in cui un allenatore, perché pur sempre questo è il suo ruolo ad oggi, rifiuta una panchina di Serie A ma ci resta seduto lo stesso. 

Viene da chiedersi se la società, o chi per essa, ascolta le dichiarazioni di fine partita. Noi sì e purtroppo siamo abbastanza in confusione. Non riusciamo a capire cosa si celi veramente dietro alle parole di Gotti. Che avrà mai voluto dire domenica sera con la frase "riesco ad incidere più da secondo che da primo allenatore"? Non voglio essere il solito mal pensante, non tiro in ballo discorsi da bar.

Non metto assolutamente in dubbio doti tecniche, caratteriali e tanto meno umane di Gotti, sicuramente però oggi si ritrova al momento in un ruolo che non sente il suo. Guidare la squadra da capo allenatore non gli permette più di avere quella confidenza, quei rapporti diretti che aveva in precedenza con i giocatori. Un rapporto diverso, più distaccato, nel quale evidentemente non si sente a proprio agio. 

Da tattico a gestore, un ruolo meno pratico e più politico. Mi spiego, ora Gotti è chiamato a scegliere, a mantenere un determinato equilibrio. Vorrebbe magari stravolgere tutto ma sa che certe scelte del tutto radicali non si possono fare, perché una squadra di calcio è fatta di mille pesi e contrappesi. C'è da rispettare la filosofia societaria e un modulo che ormai è un dogma, c'è da mettere in campo quelli che sono considerati leader anche se magari purtroppo non stanno attraversando un buon momento di forma, a qualcun altro va data una chance perché altrimenti si deprime e dopo non lo si recupera più, c'è chi gioca perché altrimenti il procuratore il giorno dopo è già in sede e chiederne l'immediata cessione. Non accade solo a Udine ma ovunque, in qualsiasi altra società sportiva del mondo. All'allenatore spetta questo delicato compito, un compito che non da tutti e per tutti, che forse non è per Gotti, professionista più legato al campo che allo spogliatoio. 

Altro aspetto, l'allenatore paga i risultati. Se si vince è un idolo, se si perde è il primo responsabile. Un saliscendi continuo in una specie di montagna russa perenne. Oggi al top, domani al flop. I punti non arrivano? E allora chi prima ti era amico improvvisamente ti volta le spalle, chi prima ti ha portato alle stelle, giornalisti compresi, ora ti getta nel fango. Lezione, questa, che Gotti ha già imparato sulla sua pelle tra Treviso e Trieste. Per questo probabilmente se ne vuole restare fuori, non vuole sentirsi colpevole di una situazione così pericolante, non vuole correre il rischio di bruciare un percorso professionale importante portato avanti in questi ultimi anni.

E allora che fare? Serve chiarezza. Perché il cammino si fa sempre più complicato. L'allarme retrocessione ha ricominciato a lampeggiare imperterrito, servono punti per allontanarsi dalla zona rossa, per mettersi in salvo. Punti che devono arrivare con Gotti o senza Gotti

C'è stato abbastanza tempo per soppesarlo, per capire quali fossero le altre alternative libere sul mercato. Lo deve decidere la società, al più presto. Una scelta responsabile ma soprattutto netta. Gotti sì, ma che sia pienamente convinto, Gotti no, e allora dentro un altro allenatore. Il tempo scorre, le partite passano.

Sezione: Primo Piano / Data: Mar 17 dicembre 2019 alle 14:49
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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