In conferenza stampa abbiamo sottolineato con coach Demis che attorno a noi, durante la gara, qualcuno sottolineava le mancanze di Ravenna in termini tecnici e tattici.

Sempre così: si vince e sono scarsi gli avversari, si perde (tipo a Bologna) e siamo delle pippe.

La verità dorme nella definizione stessa di sport, che impone il rispetto di chi vince e di chi non lo riesca a fare, per demeriti propri e prestazioni altrui.

Preferisco parlare con i numeri: Udine oggi tira col 63% da due, col 52% (!) dalla lunga distanza e col 75% dalla lunetta. Ravenna oppone rispettivamente il 40%, il 13% e (come Udine) mette dentro ¾ dei liberi tentati.

Udine vince perché difende, stasera, come non ci fosse un domani; perché Ciccio distribuisce 5 stoppate, Powell una: ma in generale dietro si applicano, tutti, con concentrazione fino all’ultimo secondo, quando si cerca di far segnare Visentini, al suo esordio, senza fortuna.

Udine vince perché non crea una gabbia ad personam sul pericolo pubblico Adam Smith: anche, ma costringe tanti avversari a un clamoroso virgolone sul referto, o quasi. E allora Gandini, ex Effe, fa zero; Cardillo, partito in quintetto base, idem; Masciadri ne mette cinque col 28% dal campo, Montano (temibilissimo) fa 1 su 11 che non suona proprio come di serata in libertà.

Udine vince e lo fa in tutti i periodi; nel secondo Ravenna resta in scia (18-20), ma nel primo prende 7 punti di paeziale, nell’ultimo dieci e nel terzo, troppo spesso quello esiziale per le speranze udinesi (vedi Bologna), si legge 35-15 per la GSA, con una serie di sette triple realizzate in fila (Trevis e Cortese) e due finali di Pinton, l’ultima con un ave Maria da poco olre la metà campo.

Nella Piero Manetti si salvucchiano Smith e Hairston, un marcantonio di colore più fisico che tecnico, sul quale montano una guardia spietata Ciccio, Chris e Marshawn. Adam, invece, va di striscia nel secondo periodo che chiude a 12 punti; alla fine saranno 21, ma i nove del secondo tempo risuonano forte come eco di garbage time. Soprattutto Laganà, che mette 15 pezzi meritandosi più che la sufficienza.

Merita particolare attenzione il coach giallorosso, il veneziano Mazzon: abbiamo amicizie comuni, lui ha poi fatto una bella carriera in giro per l’Europa mentre il mio amico no. Di lui, stasera, più che delle alchimie tattiche messe in campo ci ricorderemo delle invettive contro una terna arbitrale tutto sommato correttissima (poche sbavature, ma Gagno la tiene in mano senza indugi), un tecnico preso dopo un canestro segnato, una lavagnetta distrutta durante una sospensione e la ramanzina amministrata ad Adam Smith, che lo guarda perplesso e abbozza. Stasera Udine ha giocato una partita da A.P.U., tutto qui; prendersela contro il proprio unico terminale offensivo, anche se oggettivamente qualche forzatura l’ha commessa, non mi è sembrato gran cosa. In fondo se ciò succede, è perché il resto della compagnia offre modeste alternative.

Ora Udine non si deve fermare: domenica a Piacenza, poi Cento in casa debbono essere altre tappe della rinascita udinese che, mai come oggi, deve fare corsa su sé stessa senza guardare in casa d’altri. Bologna e Montegranaro non perdono un colpo, in particolare con i marchigiani lo scontro diretto è negativo: conta poco, ormai. Se ne vincono una bella striscia, i conti saranno presto fatti.

Mi ripeto: Udine vince, in sostanza, se gioca da A.P.U. Come stasera: perché se difendiamo così e riusciamo a mettere i nostri tiratori facilmente in transizione dall’altra parte del campo, ben poche squadre possono tenere testa alla GSA.

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 29 ottobre 2018 alle 10:18
Autore: Franco Canciani
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