L'Udinese mette il primo passo verso quella rivoluzione paventata dalla proprietà. A dire la verità c'è un'incongruenza, perché il primo passo è stato fatto anche se doveva essere il secondo: Iachini è stato scelto prima di Bonato. Ma a Udine, si sa, sono i Pozzo che decidono.

Se dovessi giudicare dai nomi potrei anche essere deluso, ma preferisco andare oltre ed avere un po' di sano ottimismo, visto che trent'anni di storia non si possono cancellare negli ultimi tre. Perché sì, la gestione Gino ha sgretolato i muri di quel magnifico palazzo che era l'Udinese di Giampaolo, ma le fondamenta sono ancora lì. E si chiamano cultura aziendale, modo di fare, impresa. Si chiamano plusvalenze, il vero motore di quei magnifici risultati ottenuti dal padre. Se solo il figlio avesse più autostima del Paron, si potrebbe davvero vincere la Coppa Italia.

Perché, lo pensavo l'anno scorso e lo penso ancora adesso, i soldi e le attenzioni dirottate su Londra, non necessariamente sono un handicap per Udine. L'Udinese più bella nacque da giocatori pescati nei campionati minori, da giovani da lanciare, da un allenatore che aveva già qualche esonero alle spalle e un direttore sportivo che capiva di mercato e di calcio. Iniziò da lì l'era Zaccheroni.

Quello che è mancato all'Udinese, quest'anno, era l'organizzazione, la disciplina, le regole. Paradossalmente un gruppo imprenditoriale propenso a risparmiare sui costi e aumentare i guadagni, non ha investito nella risorsa più economica che c'è: la gratuità dell'organizzarsi e darsi delle regole semplici e chiare. Pozzo senior ha dato la colpa ai livelli intermedi, di sicuro la gestione di qualche “caso” gli hanno dato ragione. Ma il parlare continuamente di mercato, non era forse avvallato dai proprietari?

Quest'anno la musica cambia. Le scelte di Gino, che siano state avanzate dai consiglieri o volute propriamente, tolgono alibi alla dirigenza. L'allenatore è uno che sa cimentare lo spogliatoio: a Palermo successe una mezza rivoluzione quando venne esonerato. Pare strano, visto che proprio Iachini aveva chiesto al presidente di migliorare la rosa. Che sia bravo o meno, parrebbe un leader più che un capo, di sicuro è uno senza peli sulla lingua anche nei confronti della società. Addio all'ipotesi dello yes man che accetta supino le decisioni altrui. Bonato poi è un dirigente che si è fatto negli anni, che ha portato buonissimi risultati al Sassuolo. Chiunque voglia può andare a cercare su internet il suo curriculum. Ma quello che mi ha colpito è l'alternarsi di diversi ruoli: direttore sportivo e direttore generale. E' un professionista che evidentemente sa sdoppiarsi. Non avevamo bisogno di un uomo forte? Eccolo qua. Non avevamo bisogno di un dirigente che capisse il calcio? Eccolo, le campagne acquisti del Sassuolo ne sono l'esempio lampante. Prendere un buon direttore sportivo, con doti manageriali, e poi tarpargli le ali sarebbe, oltre che controproducente, anche piuttosto colpevole, se non altro di stupidità.

Sul mercato non mi pronuncio: sogno un trio di centrocampo con Lodi regista e Valdifiori e Verre ai lati, piedi buoni e senso tattico magnifico. Forse è troppo. Purtroppo Gino non ci ha abituati bene negli ultimi anni. Ma di certo, considero positivamente il cambiamento. All'apparenza può sembrare un adagiarsi: Iachini ha ottenuto poco in serie A e Bonato non è un nome di grido. Ma i valori del primo, in piena sintonia con l'ambiente friulano, e la professionalità e la storia del secondo, mi fanno propendere per una rivoluzione. Silenziosa, non gridata, ma solida.

Ora il vertice non ha più alibi, se li è tolti da solo. Segno che, forse, questa volta, per davvero, si punta a costruire e non a ha rattoppare i buchi.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 06 giugno 2016 alle 20:48
Autore: Giacomo Treppo
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