Stasera ho avuto la precisa sensazione del calcio post-COVID: squadre lunghe dopo meno di un’ora, piccolo trotto dopo venti minuti (specie una delle due), neanche il famigerato ‘cooling break’ che pare miraggio per le gare notturne, anche se si giocano a trenta e più gradi.
Detto ciò, ad oggi la Roma è una delle peggiori squadre della serie A: fisicamente patisce tantissimo, tecnicamente è in difficoltà come molte avversarie, psicologicamente si è sciolta dopo l’uscita (giusta?) di Petrachi, che vedeva le cose messe male.
Stasera la Roma perde più della partita: perde decine di milioni di valutazione per una possibile cessione societaria: perde definitivamente il treno Champions, ormai garantito per le prime quattro; perde la faccia, in primis un frustrato Perotti che si fa cacciare per un’entrata killer dopo metà del primo tempo.
Quando, però, l’Udinese era già avanti: bravo Lasagna a scappare alla lentissima difesa giallorossa, ancor di più a raccogliere il tiro sbilenco di De Paul.
Fonseca, tecnico dal pedigree nettamente più ricco dell’ineffabile Gotti (eroico in giacca e camicia dal primo all’ultimo secondo), non ne indovina una: privo di Pellegrini e Veretout, decide di giocarsi la carta Kalinic (inesistente) supportato dal prode Cengiz, lontano parente della furia turca che, un paio d’anni fa, mise palla nel sette sotto la curva sud del Friuli.
Decide di aspettare l’Udinese, per non sguarnire la retrovia come era successo alla Dea domenica scorsa: l’Udinese colleziona una ventina di ripartenze, e solo l’atavica mancanza di cinismo friulano ha impedito al tabellone di segnare ‘tanti a pochi’ a favore degli ospiti. E fortuna giallorossa che al rientro dagli spogliatoi non appare Kevin Lasagna, che si ferma per un risentimento muscolare.
Decide, obtorto collo, di provare coi tiri da fuori ma gliene riescono un paio (traversa esterna su tiro deviato di Cristante e gran parata di Musso su botta di Pèrez); in area, complice l’assenza psico-fisica del centroavanti croato, permette ai tre centrali friulani di fare un figurone.
Si gioca la carta Dzeko a poco dalla fine, sperando forse nella solita doppietta bosniaca scacciacrisi: il capitano (esce nel frattempo un frastornato Fazio) è giocatore di grandissima qualità, oggi però attorno a lui il nulla.
L’Udinese stasera mette in tasca, contemporaneamente, la prima vittoria del girone di ritorno; l’aggancio a quota 31 a Viola e Torino, il cui allenatore forse non ride più come una settimana fa, quando pensava di essersela sfangata; il raddoppio delle distanze dal Lecce, terz’ultimo, che pare sempre più costretto a far corsa sul Genoa per guadagnarsi un’insperata conferma in serie A.
Al netto dell’incomprensibile scelta di far giocare il Genoa 48 ore prima dell’Udinese, domenica sera i bianconeri si giocano il match-point: dovessero prevalere sul Grifone, a quota 34 (il Lecce gioca a Reggio Emilia) la salvezza sarebbe ben più che un’ipotesi, nemmeno troppo sicura come pareva solo poche ore fa.
C’è altro da dire: in questo tuffo nel calcio post-pandemia, mi sono guardato molte gare e posso dire che, con i limiti che le riconosciamo, la maniera di stare in campo dell’Udinese non è certamente fra le più modeste. Gotti ha dato ai suoi un’impronta di gioco, che sarebbe ancora più godibile con interpreti adeguati. Stasera poi l’Udinese ha mostrato di essere atleticamente in forma migliore della media: alcuni giocatori, De Paul e Fofana (nello scorcio concessogli) in particolare, straripanti (rispetto ad un’avversaria, ripeto, in condizioni inguardabili). Solita imprecisione, ma quella penso sarà caratteristica friulana fino all’ultima di campionato.
Stasera, infine, si sono visti scorci addirittura di possesso palla: impossibile contro le grandi quattro del campionato, quando di fronte si parano pari livello o nobili decadenti come la Roma contribuisce a far respirare la difesa, far correre gli avversari e aprire gli spazi; la tradizionale, nobilissima arte della ‘difesa e contropiede’ permette, poi, a squadre meno attrezzate di infilarsi fra le maglie avversarie. Conoscere i propri limiti è un merito non da poco.
Ed in questo scenario, forse per la prima volta non ci sono insufficienze in campo. Addirittura lo spesso discutibile Walace ha offerto un contributo di assoluta sostanza. Con la punta, mi ripeto, di Rodrigo in formato De Paul.
Ci piace questo calcio? No: è semplicemente una maniera come un’altra per reagire, rinascere, evitare a tanti lavoratori del calcio di andare in crisi economica (e non parlo tanto dei giocatori quanto degli impiegati). Ma dire che tutto è come prima è prendersi in giro.
Leggo commenti, condivisibili, che sostengono come senza pubblico non sia calcio: io penso che non sia calcio e basta. La mancanza di pubblico è un’aggravante, ma non la causa scatenante di queste partite paradossali, nelle quali non a caso si fischiano rigori a grappoli.
Se non erro, meno nove all’alba. Spero che la stagione prossima segni il ritorno alla normalità.
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