‘Senz’altro bocciata’, urlerebbe l’odioso maestro Palocco a questa formazione così dimessa: ‘senz’altro bocciata’.
L’hanno fatto apposta, e lo so: appena il tempo di scrivere un pezzo pieno di fiducia per il magazine in uscita in queste ore, ed ecco ‘PEM!’ la botta. Che, tuttavia, purtroppo mi sentivo nelle ossa. Testimone l’amico con cui al mattino abbiamo scambiato auguri e opinioni. Scherzo, ovviamente, e lo dico prima che qualcuno adombri strani complottistici scenari.
Il Benevento di Pippo Inzaghi appartiene alla categoria di squadre peggiori da affrontare per una formazione in transizione come l’Udinese: quadrate, compatte, veloci e fisicamente attrezzate, riescono a colpire nelle poche occasioni concesse.
Esercizio nel quale l’Udinese non eccelle. A me spiace dare croci addosso, ma ieri Kevin Lasagna l’ha fatta più grossa del solito. Alcune delle tante occasioni sprecate sono troppo anche per lui, che spesso sotto porta si emoziona, si agita, perde serenità e mostra di sé un lato decisamente meno positivo di quanto in effetti egli non sia. La palla spedita alta, in area piccola, quando ancora si era sullo 0-0 è difficile da commentare; forse farlo sarebbe fin troppo ingeneroso. Ma tocca farlo, e quella rete mancata scrive una gara che Caprari, un minuto dopo, indirizza sull’opposta china e direzione.
Merita, il Benevento: merita perché soffoca le (poche) idee bianconere, perché ci prova partendo da una struttura raccolta ma abile a distendersi con agilità e velocità. Inzaghi confeziona la gara imperfetta, vista dal lato del collega Luca Gotti; lo conduce, ieri sera, anche quando cambia interpreti e non copione, mentre l’adriese prova un 4-3-3 subito frustrato dall’edema osseo provocato a Deulofeu da un pestone sul piede: subentra Nestorovski, ieri però non pervenuto, e non certo né solo per colpe proprie.
Sullo spagnolo col numero nove si apre, però, un capitolo dal nostro cantuccio di cantori piuttosto avvilito, se non ancora avvilente: capisco sia reduce da un serio infortunio, capisco anche che ieri sera si sia intimidito quando ha scambiato una botta per una frattura del metatarso; quel che fa vedere di questi tempi, però, anche al netto di una condizione fisica ancora precaria, è decisamente troppo poco. Pochissimo.
Solo l’altro giorno scrivevo che mi sarebbe piaciuto vedere la squadra al gran completo: anche oggi sostengo lo stesso. Col dispiacere, però, ed il timore dell’ennesima stagione la quale ‘poteva essere e non è stata’.
I risultati positivi delle squadre situate in fondo al rango, infatti, hanno subito provocato il riflesso condizionato di guardarsi alle spalle; siamo ancora qui, di fronte ad una gara che poteva dare una dimensione più serena alla stagione e regalare, finalmente, una fine d’anno felice ai supporter bianconeri. Invece niente.
Diciamoci la verità: un punto e zero reti in tre gare casalinghe contro le neopromosse Spezia, Crotone e Benevento sono otto punti e qualche realizzazione in meno di quel che ogni comune bipede si sarebbe aspettato. Certo: le gare sono tutte difficili, le avversarie vanno valutate sul campo e non sulla carta, bisogna dimostrare la propria nobiltà ma i numeri sono impietosi.
Dicono, i numeri, di una squadra (l’Udinese) fortissima quando ha campo e gamba, contro formazioni che cercano la propria finalizzazione prima di frustrare quella avversaria; se però di fronte i friulani si trovano fortini muniti di frecce da contropiede, ovvero manca la brillantezza mentale e soprattutto fisica per controbattere colpo su colpo e sfruttare le indecisioni avversarie (il Benevento, con tutto il rispetto, non pare il Bayern Monaco) difficilmente riesce a galleggiare resiliente aspettando il meglio. Le è riuscito solo contro il Genoa, gara in cui peraltro Scamacca l’aveva anche pareggiata con rete cancellata da studio.
Quindi? Quindi niente. Cambiano gli interpreti, resta un canovaccio che vede nell’Udinese la squadra meno cinica della storia. Le occasioni anche in gare modeste come le ultime due in casa se l’era create, peccando però (e gravemente) in precisione, freddezza, autorità. Ricami sulle maglie e urla dello speaker non valgono se nella testa dei giocatori l’autostima, che si vede netta in alcune gare, pare esercizio a targhe alterne.
Bisogna però fare attenzione a non buttare il bimbo con l’acqua sporca: l’Udinese deve ripartire dalla propria base forte, il gioco palla-a-terra che con De Paul e Pereyra visti recentemente (ma non ieri sera) ha decisamente fatto pensare a teste di calcio come me che un altro mondo, calcistico, è possibile.
Chiedo una cosa, infine, a Luca Gotti: la sua formazione non deve affrontare diverse manifestazioni e non necessita di turnover, anche se si gioca decisamente spesso. Della squadra che aveva così ben figurato a Cagliari non avrei cambiato nulla, resistendo anche alla tentazione di sostituire Deulofeu con Kevin Lasagna. Per non parlare, ovviamente, di Walace che (a me piace molto Arslan) con me giocherebbe sempre a meno che sia lui ad alzare bandiera bianca. E al rientro dagli spogliatoi inutile attendere venti minuti, mezz’ora per cambiare schema tattico: 4-3-3 subito e venga quel che venga.
Ovvio: lui è tecnico di serie A, io umile testa di calcio.
Alle volte, però, anche queste ultime possono avere ragione. In fondo, diceva il buon Herman, un orologio rotto due volte al giorno fornisce l’ora giusta.
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