Vergogna? No, io francamente in questi giorni provo solo una cosa, un immenso dolore, perché vedo ciò che amo deriso dall’esterno per l’essere passati da miglior difesa della Serie A agli undici gol in quattro giorni, dolore perché io AMO l’Udinese e negli anni come tanti tifosi faccio tantissimi sacrifici per seguirla. Ho gioito negli anni di Spalletti, quando andammo due volte in Coppa Uefa e una volta in Champions: ero incredulo, la squadra della mia città, che da bambino mi dicevano essere piccolissima, in Europa a giocarsela con squadre come lo Sporting Lisbona e il Barcellona, squadre che vedevo solo su FIFA. Invece, grazie al grandissimo lavoro dei Pozzo, avevo i giocatori dei videogiochi lì, a pochi metri, nella realtà.
Poi c’è stato un calo perché la società non è stata in grado di gestire il picco di risultati, ci sta, bisogna anche fare esperienza, c’era l’ambizione di diventare la quarta forza del campionato ma è cosa molto difficile e serve tanto know how calcistico per un progetto del genere.
Ci sono stati anni difficili, con diversi allenatori passati di qua e andati via in poco, da Malesani a Galeone, da De Biasi a Cosmi. Poi arrivò Marino, che aveva fatto un miracolo in quel di Catania. Lui trovò una chiave, schierando un 4-3-3 che valorizzò tantissimo i giovani scovati da uno scouting efficientissimo. Si torna nelle coppe, la cavalcata fino ai controversi quarti di finale contro il Werder Brema, dove l’Udinese si scontrò ad armi pari con quella che era una big europea e venne sconfitta dalle giocate di un Diego che era diffidato e all’andata aveva fatto di tutto per farsi ammonire. Pazienza, ci resta un percorso storico, dove dopo aver eliminato il Lech Poznan affrontammo i campioni in carica dello Zenit San Pietroburgo. Ricordo ancora la telefonata di un tifoso a Telefriuli “non so come andrà a finire, ma per me da friulano e udinese, vedere la mia città da centomila persone andare in Russia ad affrontare la squadra di San Pietroburgo è un orgoglio e lo sarà anche in caso di sconfitta”. I miei mi promisero che mi avrebbero, finalmente, portato allo stadio… solo in caso di passaggio del turno. Una mazzata alle mie speranze. Come può l’Udinese battere la detentrice della Coppa Uefa e della Supecoppa Uefa? Due parole: Quagliarella e Di Natale. Sono incredulo mentre guardo la tv, la gioia era talmente tanta da paralizzarmi, ma c’era il ritorno in Russia. Si gioca su un campo di patate, i bianconeri fanno un bunker commovente, Tymoshchuk sembra mettere in crisi le nostre speranze con un paio di bolidi, ma D’Agostino con una furbata “para” il 2-0 con l’arbitro che non vede bene l’accaduto. Finisce 1-0, i russi vanno a casa. Un altro pezzo di storia che si va ad aggiungere grazie alla squadra, allo staff tecnico e alla società.
Finito il ciclo Marino torna Guidolin, già allenatore dell’Udinese a cavallo tra fine e inizio millennio. Non sapevo molto di lui, però vedo che la squadra non viene toccata troppo, arrivano i soliti sconosciuti ma rientra dal prestito un certo Sanchez che dicono sia fortissimo. I Pozzo resistono alle richieste di altri prestiti tenendo il cileno. È ora di scatenarsi, è il mio primo anno da abbonato, distinti laterali sud. Prime quattro partite, zero punti. Non la migliore delle partenze, ma vedo che c’è fiducia, quindi duri i banchi. Udinese-Cesena. Al 94’ siamo sullo 0-0, calcio di punizione, non ricordò chi pennellò, forse Totò, ricordo solo uno sconosciuto Benatia (che aveva tolto il posto a un Coda che non riusciva a trovare il salto di qualità) che insacca di rapina. La prima vittoria in campionato per la squadra, la mia prima da abbonato, la gioia fu talmente tanta che ho i ricordi annebbiati. Mi lanciai e dissi “abbiamo una squadra che può tornare in Champions League”. Ero un ragazzino, ma ci credevo, mi deridevano, ma io vedevo delle zebrette che ci credevano come me. Udinese-Milan. Ultima giornata. Basta un punto e sarà Champions League. Ricordo che prima della partita faccio visita a mia nonna, più di là che di qua, e mi disse “beh sarebbe un ultimo bel regalo”. Finisce 0-0, siamo di nuovo in Champions, le gole partono per le urla di gioia, in campo è festa, volano bottiglie di vino. Come è andata dopo ai preliminari poco importa, quella gioia non sarà mai cancellata da nulla. L’anno dopo vengono venduti i pilastri della squadra, il fastidio ovviamente monta. Catania-Udinese. Serve arrivare terzi stavolta per tornare nella coppa dalle grandi orecchie. Cosa ci si gioca? Il terzo posto ovviamente. Finisce 0-2. Nonna non ci sei più ma questi ragazzi di regali te ne hanno fatti non uno, ma ben due. Col Braga si poteva passare e non ci siamo riusciti, c’è amarezza ovviamente, ma quanto abbiamo goduto in quella cavalcata per arrivare terzi sopra a squadre dannatamente più grandi? Tutto sempre merito di tifosi, squadra, staff tecnico e società.
E poi? E poi boh… io sono senza parole. Nasce il nuovo stadio che è un gioiello, ma l’Udinese inizia a dare brutti segnali. Con Stramaccioni arriva una salvezza tranquilla, ma chi gioca non ha più la fame di prima. Come mai? Non lo sapremo mai. Inizia un declino vertiginoso. I sei gol presi in casa con la Juventus, le undici sconfitte di fila, l’annata con meno punti raccolti da quando ci sono i tre punti in palio e ora la quinta sconfitta più pesante della storia dell’Udinese. Io sono senza parole. Non ne ho per criticare nessuno, vorrei solo risposte, dov’è l’Udinese? Dov’è la fama della provinciale che vuole distinguersi dalle altre? Di Natale, Domizzi, Pinzi, Guidolin, Pasquale, Felipe e tanti altri non hanno lasciato nulla in chi è rimasto? Possibile? Non ci voglio credere. Mentre ripenso da dove veniamo mi vengono le lacrime agli occhi, ho visto una squadra umiliata prima dall’Atalanta e poi dalla Roma, ma come? Prima erano due squadre contro le quali ce la si giocava. Ora vedo solo articoli che deridono le dichiarazioni di qualcuno dell’Udinese, le pere, la fiducia di non andare in B di chi non accetta di vedere la realtà. Io ripenso a chi c’è stato, a che eredità ha lasciato e cosa c’è invece ora… e mi sento umiliato e in lacrime.
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