Manchester: all’ombra del vecchio Old Trafford, cui ho posto doveroso e fugace omaggio stamane, mi raggiunge la notizia (poi smentita) che Luca Gotti sarà allenatore bianconero fino a fine stagione.

Spero alla fine ciò avvenga; e in questo caso, spero un paio di battute a vuoto (ve ne saranno) non rimettano in pista nomi noti, tritati dalla stampa avida di notizie e garantiti da colleghi con la penna in una mano e la verità nell’altra.

Invece non sempre è così. Non nel caso della proprietà udinese, imperscrutabile anziché no.

Non ho scritto una sola riga, o pochissime, sul tattico adriese che si caratterizza per un profilo bassissimo. Non ho scritto una sola riga, solo per aggiungerla al peàna, al coro di ‘resta con noi’ (come allenatore capo) mentre l’ex secondo di Sarri (e Tudor) affermava di volersi rifare da parte. Non è certo stato per mancanza di stima, anzi!, ma solo perché mettendomi nei suoi panni il fastidio della giacca tirata dall’esterno avrebbe superato l’orgoglio di vedere, finalmente, il lavoro premiato.

Me lo ricordo, Gotti: più giovane, ugualmente scavato in volto, promettere impegno una sera d’estate in piazza Unità; otto giornate dopo fu giubilato dal vulcanico presidente giuliano, che gli addossò fin troppe responsabilità. A posteriori fu un errore; a posteriori, capiamo la ritrosia di Gotti nel ricoprire ancora una volta quel tipo di incarico.

Adesso per un attimo sembrava toccasse a lui, prima che il responsabile dell'area tecnica smentisse recisamente. In ogni caso smettiamola di chiamarlo ‘normal one’.

Gotti non è l’uomo della strada buttato sul parquet di un palazzetto, nell’intervallo di una gara, il quale scaglia una palla a canestro segnando e vincendo una maglietta. Luca Gotti è un fine stratega, un tattico di prim’ordine, un Torben Grael del calcio.

Gotti non è una persona qualsiasi, come qualcuno potrebbe dedurre dalla sua modestia: è un professionista cui il palcoscenico non piace, a differenza di tanta gente, quella sì qualsiasi, che si assiepa attorno al microfono di un giornalista da strada per dire la propria su governo, religione, ricchi premi e cotillon. E ovviamente calcio, dall’alto della carica, onerosa, di ‘uno dei sessanta milioni di allenatori italiani’.

Capisco che ‘normal one’ viene usato in contraltare con quello ‘special one’, così peraltro si autodefinì, appena approdato sulla panca del Tottenham (squadra che giurò di non allenare mai per rispetto verso i tifosi del Chelsea…): io dico che uno normale non avrebbe avuto alcun problema ad accettare un ruolo di prestigio, guadagnandosi un warholiano quarto d’ora di celebrità.

Luca Gotti è un vero ‘special one’: modesto in un mondo di selfie, laconico tra mille ed inutili parole di cui quelli come me sono veri conniventi; uomo semplice, forse, ma non banale. Né normale.

Mi ripeto: Luca Gotti è il gesto a Nestorovski dopo la sostituzione contro la S.P.A.L.: mano  del giocatore trattenuta e portata sul proprio cuore, sorriso ad occhi chiusi ricambiato da Nesto, quasi a dire al suo giocatore ‘so che hai dato tutto’.

Non retrocederemo. Non sarà solo per merito di Gotti, se questi alla fine rimanesse fino in fondo.

Di sicuro avverrebbe anche per merito suo.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 23 novembre 2019 alle 08:00
Autore: Franco Canciani
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