Sfogliando l’album con le immagini più belle della storia dell’Udinese mi sono soffermato su una foto in particolare che mi ha portato indietro nel tempo, addirittura negli anni 50. Una foto in bianco e nero, un po’ sbiadita, che ritrae un tipico ragazzo nordico, biondo e con la pelle color latte, che ha scritto assieme ad una squadra memorabile, una delle pagine più belle della storia dell’Udinese. Quel ragazzo si chiamava Arne Bengt Selmosson, indimenticato fuoriclasse svedese, soprannominato “Raggio di Luna” per la sua folta chioma bionda e la sua pelle talmente chiara da risultare per tonalità vicina a quella di un albino.

Nato a Gotene il 29 Marzo 1931, Selmosson muove i suoi primi passi calcistici nello Jonkopings Sodra, squadra svedese in cui realizza tra il 1950 e il 1954 ben 33 reti, uno score che non passa inosservato agli occhi dell’allora presidente dell’Udinese Dino Bruseschi che lo acquista per una dozzina di milioni, regalando al suo allenatore Giuseppe Bigogno la pedina giusta da affiancare all’inamovibile bomber Lorenzo Bettini. Selmosson arrivò in Italia nel 1954 in un paese alle prese con la difficile ricostruzione dopo gli orrori della guerra terminata appena nove anni prima. Tra una crisi di governo e l’altra l’Italia si avvicinava al boom economico che avrebbe cambiato per sempre l’immagine del nostro paese. Raggio di Luna faceva parte della generazione d’oro del calcio svedese dove figuravano campioni del calibro di Liedholm, Skoglund e Hamrin, tutti ammirati in Italia. Tecnicamente sopraffino, Arne Selmosson poteva giocare indifferentemente come ala, trequartista o seconda punta, era letale sotto porta ma aveva anche una grande visione di gioco come testimoniano i numerosi assist in carriera. Mancino naturale, era comunque abilissimo anche con il destro. Nonostante non possedesse un fisico eccezionale (170 centimetri per 74 Kg) era rapidissimo ed in possesso di una grande elevazione che lo rendeva pericolossimo anche nelle azioni aeree come testimoniato dalle numerose segnature di testa. Era dotato di un’ottima progressione palla al piede e di un dribbling secco ed efficace che lasciava poche speranze al difensore di turno. Le grandi doti sportive erano inferiori solo a quelle umane, in quanto Selmosson fu esempio di correttezza e moralità, dentro e fuori dal campo. Timido e molto riservato, è ricordato dai suoi ex compagni come una persona cortese, elegante e molto disponibile. Arrivato a Udine imparò ben presto ad apprezzare le infinite bellezze del Friuli con particolare gradimento verso i vini (in Svezia beveva solo latte) e l’arte (era un grande ammiratore di Ciliberti, artista friulano).

Nella sua prima stagione a Udine realizza subito 14 goal (senza rigori) e assieme al suo “gemello” Lorenzo Bettini forma una delle coppie d’attacco più forti del torneo. L’inizio in campionato non è dei migliori, ma nel girone di ritorno l’Udinese è di gran lunga la miglior squadra del torneo, migliore anche del grande Milan di Nordhal che quell’anno vincerà lo scudetto proprio davanti ai ragazzi di Bigogno giunti secondi ad appena quattro punti, in quello che è ad oggi il miglior piazzamento del club friulano nel massimo campionato italiano. Gli esiti dello scandalo legato alla “Confessione di Settembrino” portarono l’Udinese alla retrocessione in Serie B nell’agosto del 1955, con la squadra che venne in parte smantellata. Un giocatore come Arne Selmosson diventò improvvisamente un lusso troppo grande da potersi permettere, e fu così che lo svedese fu ceduto (assieme al gemello Bettini) alla Lazio per un cospicuo numero di milioni più i giocatori Fontanesi e Bredesen, che si riveleranno determinanti l’anno dopo nella pronta risalita in Serie A del club friulano.

L’arrivo di Selmosson trasformò la Lazio, che dopo il dodicesimo posto della stagione 54/55 centrò due terzi posti di fila con lo svedese a segno ben 22 volte in 64 incontri. Calano le prestazioni nella terza ed ultima stagione in biancoceleste (33 presenze e 9 reti) con la Lazio a fine stagione quindicesima e con lo spettro della retrocessione piuttosto vicino. Nel 1958 partecipò con la sua nazionale alla Coppa Rimet dove solo il grande Brasile ,dove giocava un diciassettenne Pelè, riuscì a sconfiggere la Svezia che si dovette accontentare del secondo posto, ancora oggi loro miglior risultato internazionale. La crisi economica che nel 1958 colpì la Lazio (aveva oltre 800 milioni di lire di debiti) costrinse la dirigenza a cedere Selmosson per ben 135 milioni di lire agli odiati rivali cittadini della Roma, episodio che scatenò la rabbia della tifoseria laziale che manifestò apertamente il proprio disappunto con caroselli e manifestazioni di piazza, il tutto con un comportamento, va sottolineato, molto civile, chiaro esempio dell’Italia che fu, troppo lontana dall’Italia odierna in cui assistiamo a violenze negli stadi incommentabili, con un gioco del calcio ormai vissuto non più come sport e svago, ma come pretesto troppo spesso per risse e scontri.

Anche alla Roma Selmosson trascorse tre stagioni (87 presenze e 30 goal) condite dalla conquista della Coppa delle Fiere nel 1961, unico trofeo vinto dal fuoriclasse svedese. Durante la permanenza nel club giallorosso era visto dai tifosi come una vera e propria leggenda, e nonostante il contestato trasferimento del 1958, rimase sempre nel cuore anche dei laziali che gli riconoscevano doti umani eccezionali. Un esempio di ciò riguarda il primo derby che Selmosson giocò con la maglia della Roma, in cui lo svedese andò in goal ma non esultò. Il gesto fu apprezzato da entrambe le tifoserie che lo omaggiarono con grandi applausi. Sempre in tema derby, Arne Selmosson è l’unico ad aver segnato nella stracittadina romana con entrambe le casacche di Roma e Lazio.

Nel 1961 decide di tornare nel club che lo ha lanciato, vale a dire l’Udinese, prima che, come lui stesso ebbe a dire, “la caciara tra romanisti e laziali mi rintronasse del tutto”.  Con l’Udinese giocò per altre tre stagioni (73 presenze e 18 reti) con l’ultima stagione trascorsa in Serie B, palcoscenico indegno di un fuoriclasse del genere che però non ebbe problemi a restare fedele alla squadra che lo rese grande nel mondo del calcio. Si ritirò dall’attività agonistica nel 1964, diventando allenatore in Svezia.

Selmosson agli inizi della sua carriera in Italia divenne protagonista di una vicenda singolare quanto bizzarra legata al suo soprannome: nel 1955, andò in scena una commedia musicale chiamata "La padrona di Raggio di Luna", scritta da Giovannini e Garinei, e al tempo fu quasi scontato collegare il titolo della commedia al fuoriclasse svedese che però non c'entrava assolutamente nulla. L'ispirazione ai due autori venne da un fatto realmente accaduto che vedeva protagonisti lo storico presidente del Palermo, il principe Raimondo Lanza di Trabia, sua moglie, l’attrice Olga Villi, ed un calciatore argentino, tale Enrique Martegani. 

Arne Selmosson si è spento il 22 Febbraio 2002 a Gotene, vicino a Stoccolma. A lui è stata anche intitolata una strada dal comune di Udine, tale “Via Selmosson”. Simbolo indiscusso della più grande Udinese della storia che sfiorò lo scudetto, è ricordato da chiunque lo abbia conosciuto con splendide parole. A conclusione di questo articolo, le parole di Kurt Hamrin (che diede alla stampa la notizia della morte dell’amico Selmosson) sono assolutamente le migliori da dedicare al fuoriclasse svedese: “«Giocava mezzala. Oggi esterno sinistro. Con lui non ho giocato mai. Contro di lui, sì. Che tipo di giocatore? Lo avessi avuto in squadra, mi sarei messo tranquillamente lassù, davanti, ad aspettare i suoi passaggi»

Maurizio Pilloni - TuttoUdinese.it

Sezione: Storie Bianconere / Data: Mer 29 marzo 2017 alle 14:00
Autore: Maurizio Pilloni
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