Leggetela come volete: grande l’Udinese, che ha giocato bene; “da grande” intesa anche come solita partita disputata contro una grande firma (così come successo contro Inter, Milan e parzialmente il Napoli) mentre quando si incontrano formazioni di calibro inferiore ci si sbatte molto meno.

Oggi i bianchineri si sarebbero meritati la vittoria: per come Gigi l’Aquileiense ha impostato la gara, per come i giocatori l’hanno interpretata, per aver creato più di una Juventus decisamente poco in palla.

Ma il calcio premia chi la getta in rete: e dopo Duvàn Zapata, sbloccatosi contro l’avversaria più difficile in assoluto, ecco Bonucci catapultare in rete una punizione (inesistente) calciata da Dybala e letta male dal portiere bianconero Karnezis.

Il quale, oltre a questo, ha toccato una mezza dozzina di palloni e sempre e solo per rimetterli dal fondo. Segno che le truppe cammellate di Allegri, ad iniziare da un impalpabile e nervosissimo Higuaìn, hanno inciso pochissimo.

Conferme, per me, dal dopogara: torme di tifosi, opinionisti ed appositi vinovesi han riempito di proteste i media: “pareggio giusto, ma...” Ma due rigori nettissimi, ammonizioni inesistenti, eccetera. Mai riconoscono, costoro, che senza tirare in porta segnare è arduo. (I rigori non c’erano, per la cronaca. Così come i falli fischiati a Perica e nel primo tempo a Fofana, uscito per infortunio).

Da questo capiamo la frustrazione: neppure essere stati arbitrati dal signor Damato, giunto alla 23esima gara della Juventus con zero sconfitte dei sabaudi, li ha salvati da una pessima prestazione dei loro beniamini, cosa per loro ovviamente impensabile né accettabile.

Piccola parentesi: l’attesa onda anomala di tifosi ospiti si è riversata puntualmente sul Friuli, riempiendolo per i 2/3 non riservati ai supporter friulani. Devo dire che dal comportamento tenuto dopo aver subìto la rete capisco la differenza fra “noi” e “loro”. Mi spiego: Udinese-Sassuolo 1-2, la curva Nord continua a sostenere i colori e cantare. Udinese-Juventus 1-0, i tifosi dei rosanero vinovesi assiepati sugli spalti stanno lì, zitti e muti quasi stessero ascoltando l’omelia di un prete di periferia. Differenza, già: e parlo di me. A me, l’Udinese “mi” ha scelto, “loro” hanno scelto la squadra più forte per sentirsi appagati dalle vittorie. Erano spariti nel 2006, sciamavano pochissimi quando con Ferrara, Delneri o Zaccheroni i risultati non arrivavano, sono tornati in “piena produzione” solo sotto Conte ed Allegri. Chissà come mai.

Affari loro. Spero riescano finalmente ad aggiudicarsi la sospirata Champions, trofeo che manca nelle bacheche torinesi dal 1996. È difficile però trovare conforto, come succede in Italia, fuori che dalle proprie forze. Anzi: l’anno passato contro il Bayern hanno capito bene cosa significhi avere un peso inferiore ad altre squadre di pari blasone.

Le mezze palle, i mezzi contrasti sarebbero fischiati in maniera diversa. Opposta. No: non me ne frega niente del barlettano Damato, uno dei tanti, di quelli di cui fra vent’anni ci saremo dimenticati; ma il sestetto fluorescente mi deve spiegare ad esempio il fallo di Fofana, che sta davanti ad Alex Sandro, si annoda con questi e sulla caduta del brasiliano rimane “sotto” con la gamba sinistra fratturandosi il pérone. Mi deve spiegare l’ammonizione di Jankto nel primo tempo, mentre due legnate del mediocre Chiellini (che nella ripresa Allegri comprensibilmente toglie) sono appena sanzionate. Evidentemente difficile cavare cartellini quando con alcuni giocatori ci si sente amici, sodali, lo capisco e me lo devo far piacere. Ma abbiamo dovuto imparare ad abbozzare: pronti.

Detto ciò, Damato ha risentito per nulla delle polemiche nella settimana precedente la gara; ma la punizione del pareggio l’ha indovinata (attendendo una quindicina di secondi mentre la palla stava uscendo, mah), e l’espulsione di Delneri pure. Sanzione che mi ha inorgoglito: Gigi si è messo lì, a centrocampo, a difendere i suoi ragazzi e il pugliese gli ha indicato l’uscita. In quel momento lì c’ero pure io.

Mi tengo il punto. Mi tengo l’affezione per una squadra piccola, che non vince mai e da tre anni gode di pochissimo rispetto: da noi che ne massacriamo le cattive prestazioni; dalla plétora di inutili commentatori, per i quali fa più notizia un mezzo strattone in area su Dybala rispetto all’infame scempio pairettiano di domenica scorsa all’Olimpico di Roma; da parte di amici e colleghi milanesi, uno dei quali (in viaggio con me negli States) mi ha chiesto “si vabbé l’Udinese... Ma tifi anche per una squadra vera?”. Parole, stimmate di una maniera cretina e bovarista di pensare. I provinciali sono loro, non noi.

Già: per gli Azzuribianconerossi tutto ciò che non sia una delle tre formazioni “mainstream” non ha dignità di squadra, è inesistente, non ha diritto di parola o replica. E se per caso come oggi non vincono, parte la ricerca dell’errore arbitrale. Già: perchè si vincono sei scudetti di fila patendo continui arbitraggi a sfavore. E tutto ciò accompagnati dall’arboriano complesso dei “senza vergogna”.

Si stacca dal coro il quasi ex-allenatore juventino, Massimiliano Allegri: ormai parla da Gunner, e riconosce che i suoi oggi non avrebbero meritato i tre punti. È un pragmatico, il Max: casualmente oggi Cuadrado (beccato dai friulani e decisamente uno dei peggiori dei suoi, ben controllato dall’eccellente Samir) trenta secondi dopo un colpo inutile col tacco è stato sostituito da Piaca.

L’Udinese ha giocato forse la gara dell’anno: attenta, precisa, pratica e ben preparata, con un Duvàn finalmente in palla ed un centrocampo solido e concreto, in cui l’idolo islandese ha fatto una gara sopra le righe e davanti Perica, cui difetta qualche fondamentale di troppo, ha dato tutto ciò che aveva senza risparmiarsi, tenendo al contempo bella allargata la difesa avversaria (e con qualche metro in più Zapata casualmente gioca meglio).

La difesa? Perfetti Danìlo, Felipe, i laterali e perfino Angella, se è vero che “mister 90 milioni” ed il prossimo numero 10 del Reàl non hanno visto palla. Mandzukic, poi, relegato a sessanta metri dalla porta ha potuto contribuire poco alla manovra juventina.

Ed ora il Pescara: la solita “prova del nove” sinora indigesta ai friulani. È ovvio (basta scorrere la classifica) che se le due formazioni si scontrassero al top delle proprie possibilità, non ci sarebbe partita. Ma oggi la Juventus ha dimostrato che senza giocare al massimo, sempre e contro chiunque, non si va da nessuna parte.

Temevo: lo dico chiaramente, avevo qualche dubbio che il sonno da jetlag mi assalisse dopo un’iniziale messe juventina, come l’anno passato. Dal primo minuto ho capito che non sarebbe stato così: per fortuna quelli che non l’hanno inteso sono stati gli avversari.

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 06 marzo 2017 alle 08:00
Autore: Franco Canciani
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