Leggi i roster delle due squadre e ti dici, scioccamente, che si vince. Si vince. Perché uno-contro-uno la GSA è nettamente superiore; perché Quarisa e Ihedioha hanno ginocchia operate e la guardano da fuori. Perché Fontecchio e Rinaldi li conosciamo, così come Marini. Perché Brown è a Riga, Green è marcabile, Hasbrouck un buon giocatore ma Udine è Udine.

Sbagliato.

Ho lasciato passar la notte, sarei stato troppo feroce ieri sera e fra 24 ore si gioca per la gloria e la storia, F8 di Coppa Italia e semifinale nel mirino.

Ma anche oggi sono chiare le ragioni della sconfitta: un’Aurora indomita, come all’andata, specchio del proprio allenatore che trae il meglio da quello che ha. Piccoli tirava col 28% da tre punti e ieri sera fa 4/7; Marini (mio personale MVP della serata) sbaglia tre liberi nel primo quarto, ma se ne guadagna una caterva e chiude con diciotto pezzi e otto rimbalzi; Tommasino Rinaldi, snaiderino dell’ultima ora, che mette sedici punti più sette carambole, profittando di una difesa blanda, nel pitturato, di Ciccio, Chris (peggior gara della stagione per lui) e soci. Chapeau alla Termoforgia: grazie alle due vittorie in fotocopia su Udine (quattro delle ultime sette gare portate a casa) rientra in lizza per uno dei posti che valgono in chiave playoff.

E Udine, mi chiederete Voi?

Sarò banale: il basket è uno sport semplice, apparentemente fin troppo logico. Ha le proprie regole, spesso difficili da spiegare a chi non sia del tutto appassionato; ha anche quelle non scritte, alcune delle quali provo a riassumere per chi magari pensa la pallalcesto faccia eccezione rispetto al resto della vita.

Intanto il blasone e i nomi non fanno punti. Ma questo lo abbiamo scritto a lettere di fuoco all’inizio di questo pezzo.

Poi perdendo 22 palle in attacco è impossibile portarsela a casa, a meno che non si sia, chessò, Golden State e si giochi contro una seconda divisione bulgara. Lì forse il talento compensa la poca attenzione. Nel caso della GSA ciò non vale.

Inoltre le gare vanno ‘interpretate’: ieri sera bisognava estrarre la sciabola e dar giù di taglio, non il fioretto, disciplina più di tocco.

In ultimo, come sosteneva un noto coach universitario americano, ‘alla fine delle gare ispeziono le ginocchia dei miei: chi non le ha arrossate, annerite di botte, sbucciate non ha dato tutto’. Ecco, Udine gioca modestamente per tre periodi, li vince di misura ma straperde l’ultimo e c’è poco da smoccolare: giusto così.

Udine vince solo se difende fino al ventiquattresimo secondo di ogni fottuta azione offensiva avversaria; fare quel che in gergo si chiama show difensivo per quindici battute, sperando che negli altri nove-dieci succeda nulla, significa suicidarsi (sportivamente parlando). E ieri sera, al netto dei meriti jesini, questo è successo.

GSA ha avuto poco da troppi: Rain e KayDee si sono sbattuti, col neo di una palla persa di Dykes a una ventina di secondi dal termine, quando dal possibile pari Green ha portato i suoi al +4 decisivo dalla lunetta. I due totalizzano 39 dei 74 punti totali: questo qualcosa vuol dire.

Quarto periodo disastroso: non tanto per i 20 punti presi, quanto per i soli dodici realizzati. Soprattutto per aver permesso a Marques Green, la cui altezza inganna troppi, di assorbire il revitalive che si era bevuto in tre periodi tutto sommato modesti e piazzare otto dei suoi 11 punti, frutto di due triple e dei liberi della staffa. Non eccellente Hasbrouck (tripla d’esordio, poi tanta fatica), forse non al meglio fisicamente, Udine avrebbe dovuto difendere duro sul pacchetto di eroici italiani in maglia bianca. Niente da fare: backdoor troppo semplici, un numero illimitato di seconde chance concesse (un saldo-rimbalzi che da quasi venti in più passa a soli otto), e troppi errori in attacco. Negli ultimi 13’ Jesi totalizza 5/10 da tre, Udine da contraltare fa 1/8 e in queste cifre si legge molto di più del saldo negativo finale (quattro punticini).

Dovessimo basare le speranze per la gara di domani su queste note, varrebbe la pena per me neanche prender l’auto, domattina alle sei, e partire per il PalaTriccoli. Invece sono convinto che Lardo e soci sono consci che gli atout sono definitivamente andati. E metteranno in scena la classica gara della vita

L’A.P.U. non è così forte da potersi permettere di controllare le gare, contro nessuno. Non è tanto strapotente  da poter pensare di giocare trenta minuti, bene o male, e sperare per gli altri dieci. Non è per nulla matematicamente promossa ai playoff, e non può pensare che basti vinciucchiare in casa per sfangarsela.

Già: perché penso che con le trasferte a Trieste, Treviso, Montegranaro alle porte, il quarto posto (ultimo che dà diritto all’eventuale bella in casa nei primi turni della post-season) sia lontanissimo ove non si recuperi un po’ di concentrazione ma anche, paradossalmente, di serenità e fiducia nei propri mezzi.

Con Jesi inizarono a scricchiolare le certezze udinesi, all’andata: facciamo che a Jesi finisca un periodo centrale d’alti e bassi, e ci si riproponga belli come si era all’inizio della stagione.

Come avete visto non ho tirato in ballo gli assenti: ieri sera si sarebbe dovuto far di più e portarsela comunque a casa. E, per inciso, dal Bush mi aspetto ben di più che qualche flash qui e lì. Coach Lino e il ragazzo albanese trovino il modo per ottimizzare l’indubbio plus provocato dal suo ingaggio fra le fila udinesi.

Adesso testa, cuore e braccia verso Biella: Udine può farcela solo se gioca al basket. Se invece ‘pretend to’, come dicono gli inglesi, allora testa e cuore mettiamoceli in pace.

Piccolissimo inciso: la sconfitta di ieri sera ha ragioni tecniche e umane, abbiamo cercato di analizzarle per quanto nelle nostre capacità. Ciò non toglie che attorno al campo (e in un certo momento anche dentro il parquet) qualcosa di sgradevole sia accaduto. Prima di parlarne, però, attendo delle conferme. Dopodiché ce ne sarà per tutti coloro i quali prendono le arene cestistiche come sfogatoio per una vita spesso ingiusta. E non parlo necessariamente solo di ieri. Li abbraccerei, costoro, accompagnandoli all’uscita. Il nostro sport non ha bisogno di loro, a prescindere da quale posizione sociale rivestano. Paura? Valà. Noi abbiamo visto Gastone.

Sezione: Primo Piano / Data: Gio 01 marzo 2018 alle 15:22
Autore: Franco Canciani
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