Lo avevamo detto, senza essere grandi preveggenti: il Chievo è squadra tignosa, antipatica da affrontare; anziana ed esperta, dura il giusto, determinata.

Ebbene, questa compagnia di quasi quarantenni (un collega scaligero ci confermava come quella gialloblù sia la formazione più anziana d’Europa) ha fatto ballare la rumba ad un’edizione dell’Udinese non memorabile: gioco poco, impegno tanto ma messo in campo senza apprezzabili risultati.

Gli ospiti capitalizzano due situazioni da gioco fermo: un’incornata di Inglese controllata male dalla difesa friulana e non meglio da Simone Scuffet; un calcio a giro di Valter Birsa, che riceve palla dalla rimessa laterale e, scorgendo il portiere friulano ben fuori dai pali, lo uccella con una prevertiana e tristissima foglia morta. Amen.

Già: perché al Chievo basta così. L’Udinese non riesce a venirne a capo, troppi i giocatori psicofisicamente sottotono. Molti si sbattono, si impegnano, lottano su ogni palla arrivando però, drammaticamente, sempre dopo i clivensi; ed è qui che trovo il vulnus della gara.

L’unica maniera per venire a capo di una squadra vecchia ed esperta, ma inferiore per tasso stilistico e cifra tecnica, è approfittarne facendola correre, pressandola alta, mettendo i centrali avversari (settantaquattro anni in due) in difficoltà sia in fase di possesso che di non possesso. Sarà un caso, ma in quei quindici minuti nei quali il Chievo, dopo un inizio migliore, rifiata e cala il ritmo i bianchineri approfittano trasformando in gol l’unica azione manovrata del primo tempo, sull’asse DePaul-Théréau.

Per tutti gli altri settantotto minuti, però, è l’Udinese a sfiancarsi correndo dietro agli avversari. La sfortuna, in una gara meritatamente persa ma ad un certo punto raddrizzata, è stato quel lob di Birsa al decimo della ripresa. Gioco, partita, incontro: perché da lì in poi l’Udinese ci prova, ma Sorrentino si sporca i guantoni solo in una deviazione bassa su tentativo del volenteroso Lasagna.

Confusione. Non è mancato l’impegno, ma il gioco. Oggi: perché sinora la squadra era parsa in crescita più d’intesa che di fisico. Soprattutto, ancora una volta, cambiano gli interpreti ma resta un fatto: l’Udinese fa fatica ad intercettare chi gioca fra le linee come il Birsa di stasera. È proprio lo sloveno infatti che spariglia le carte di una gara tutto sommato pareggiabilissima.

Partita persa, pazienza, guardiamo avanti.

Perché se una squadra come l’Udinese non gioca al calcio, per demeriti propri o meriti avversari, difficilmente porta a casa punti. Oggi anche Luigi Delneri mi è sembrato meno lucido del solito, in alcuni cambi che ho inteso meno del solito. L’Udinese non fa punti se abbozza, si accontenta, gioca orizzontale o peggio con i lanci lunghi che contraddistinguevano lo stile dell’Anziate: l’Udinese fa punti se verticalizza, punta la porta, punge e ci prova. Cosa che oggi, anche dopo l’ingresso di un Perica presto assorbito dal marasma, è successo quasi mai.

Non parlo di singoli: certo alcuni mi hanno deluso, forse per le aspettative (eccessive?) che nutro in loro. Ho però letto commenti ingenerosi verso il reparto difensivo friulano. Non condivido, io che da sempre sostengo come la Biancanera vince se segna una rete più degli avversari (ché il golletto lo si prende, sempre e da sempre): non condivido perché su un corner non marcano solo Nuytinck e Angella, e su un tiro da sessanta metri anche il centrocampo deve contribuire (comunque se il portiere non sviene o non gioca fuori dal dischetto un gol del genere non lo piglia mai). Anzi: dico che dietro si è ballato ben di più in altre occasioni.

Nè getto croci pesanti su Simone Scuffet. Responsabilità? Sulla prima rete nì, sulla seconda sì. Ma è il portiere titolare dell’Udinese e gli starò sempre a fianco. È un ragazzo di qui, che da tre anni vive un paradosso spazio-temporale causato dal gran rifiuto colchonero: è un ragazzo di qui con zero tranquillità, come si evince da un’uscita di pugni su una palla facilmente controllabile. Lo devono aiutare, Delneri in testa: perché chi ha giocato alla grande da giovanissimo non può essersi imbrocchito a tal punto da subìre reti come quella di Birsa senza ritenerli episodi sfortunati.

Adesso la S.P.A.L.: i ferraresi stasera hanno impattato all’Olimpico contro la Lazio fresca vincitrice di Supercoppa. Gara dura? Lo sono tutte. Specie se l’Udinese non-gioca come stasera.

Ma è ancora agosto: l’Udinese è la squadra in Italia che perde più volte in campionato, in partite disputate questo mese (qualcosa tipo 15 su 22). Spero solo arrivi il laterale da schierare al posto di Wague, che la condizione fisica e la testa inizino a funzionare, sopratutto che la società abbia pazienza nel caso in cui Delneri metta in fila una significativa striscia negativa.

Stasera i fischi sono stati giusto corollario: da domani i giocatori e lo staff lavorino, duro, per correggere gli errori: la stagione è lunga. Le mie speranze intatte.

Lo avevamo detto, senza essere grandi preveggenti: il Chievo è squadra tignosa, antipatica da affrontare; anziana ed esperta, dura il giusto, determinata.

Ebbene, questa compagnia di quasi quarantenni (un collega scaligero ci confermava come quella gialloblù sia la formazione più anziana d’Europa) ha fatto ballare la rumba ad un’edizione dell’Udinese non memorabile: gioco poco, impegno tanto ma messo in campo senza apprezzabili risultati.

Gli ospiti capitalizzano due situazioni da gioco fermo: un’incornata di Inglese controllata male dalla difesa friulana e non meglio da Simone Scuffet; un calcio a giro di Valter Birsa, che riceve palla dalla rimessa laterale e, scorgendo il portiere friulano ben fuori dai pali, lo uccella con una prevertiana e tristissima foglia morta. Amen.

Già: perché al Chievo basta così. L’Udinese non riesce a venirne a capo, troppi i giocatori psicofisicamente sottotono. Molti si sbattono, si impegnano, lottano su ogni palla arrivando però, drammaticamente, sempre dopo i clivensi; ed è qui che trovo il vulnus della gara.

L’unica maniera per venire a capo di una squadra vecchia ed esperta, ma inferiore per tasso stilistico e cifra tecnica, è approfittarne facendola correre, pressandola alta, mettendo i centrali avversari (settantaquattro anni in due) in difficoltà sia in fase di possesso che di non possesso. Sarà un caso, ma in quei quindici minuti nei quali il Chievo, dopo un inizio migliore, rifiata e cala il ritmo i bianchineri approfittano trasformando in gol l’unica azione manovrata del primo tempo, sull’asse DePaul-Théréau.

Per tutti gli altri settantotto minuti, però, è l’Udinese a sfiancarsi correndo dietro agli avversari. La sfortuna, in una gara meritatamente persa ma ad un certo punto raddrizzata, è stato quel lob di Birsa al decimo della ripresa. Gioco, partita, incontro: perché da lì in poi l’Udinese ci prova, ma Sorrentino si sporca i guantoni solo in una deviazione bassa su tentativo del volenteroso Lasagna.

Confusione. Non è mancato l’impegno, ma il gioco. Oggi: perché sinora la squadra era parsa in crescita più d’intesa che di fisico. Soprattutto, ancora una volta, cambiano gli interpreti ma resta un fatto: l’Udinese fa fatica ad intercettare chi gioca fra le linee come il Birsa di stasera. È proprio lo sloveno infatti che spariglia le carte di una gara tutto sommato pareggiabilissima.

Partita persa, pazienza, guardiamo avanti.

Perché se una squadra come l’Udinese non gioca al calcio, per demeriti propri o meriti avversari, difficilmente porta a casa punti. Oggi anche Luigi Delneri mi è sembrato meno lucido del solito, in alcuni cambi che ho inteso meno del solito. L’Udinese non fa punti se abbozza, si accontenta, gioca orizzontale o peggio con i lanci lunghi che contraddistinguevano lo stile dell’Anziate: l’Udinese fa punti se verticalizza, punta la porta, punge e ci prova. Cosa che oggi, anche dopo l’ingresso di un Perica presto assorbito dal marasma, è successo quasi mai.

Non parlo di singoli: certo alcuni mi hanno deluso, forse per le aspettative (eccessive?) che nutro in loro. Ho però letto commenti ingenerosi verso il reparto difensivo friulano. Non condivido, io che da sempre sostengo come la Biancanera vince se segna una rete più degli avversari (ché il golletto lo si prende, sempre e da sempre): non condivido perché su un corner non marcano solo Nuytinck e Angella, e su un tiro da sessanta metri anche il centrocampo deve contribuire (comunque se il portiere non sviene o non gioca fuori dal dischetto un gol del genere non lo piglia mai). Anzi: dico che dietro si è ballato ben di più in altre occasioni.

Nè getto croci pesanti su Simone Scuffet. Responsabilità? Sulla prima rete nì, sulla seconda sì. Ma è il portiere titolare dell’Udinese e gli starò sempre a fianco. È un ragazzo di qui, che da tre anni vive un paradosso spazio-temporale causato dal gran rifiuto colchonero: è un ragazzo di qui con zero tranquillità, come si evince da un’uscita di pugni su una palla facilmente controllabile. Lo devono aiutare, Delneri in testa: perché chi ha giocato alla grande da giovanissimo non può essersi imbrocchito a tal punto da subìre reti come quella di Birsa senza ritenerli episodi sfortunati.

Adesso la S.P.A.L.: i ferraresi stasera hanno impattato all’Olimpico contro la Lazio fresca vincitrice di Supercoppa. Gara dura? Lo sono tutte. Specie se l’Udinese non-gioca come stasera.

Ma è ancora agosto: l’Udinese è la squadra in Italia che perde più volte in campionato, in partite disputate questo mese (qualcosa tipo 15 su 22). Spero solo arrivi il laterale da schierare al posto di Wague, che la condizione fisica e la testa inizino a funzionare, sopratutto che la società abbia pazienza nel caso in cui Delneri metta in fila una significativa striscia negativa.

Stasera i fischi sono stati giusto corollario: da domani i giocatori e lo staff lavorino, duro, per correggere gli errori: la stagione è lunga. Le mie speranze intatte.

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 21 agosto 2017 alle 09:43
Autore: Franco Canciani
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