Non ho scritto dopo la gara infrasettimanale. Perché? Perché per campare si deve anche lavorare, e oggi Vi saluto da Secaucus. E se vi sale la domanda “ma dove cacchio sta Secaucus?” Vi abbraccio e consòlo: non siete soli.
Dico solo una cosa, a 24 ore e più dall’ennesima sconfitta udinese: se questo Torino basta per espugnare la Dacia Arena (quando si perde la chiamo così, sì) allora siamo a posto.
Dopodiché leggo esaltanti giudizi della truppa di Mihajlović: se vi piace così... La verità è che la differenza fra una squadra in cerca di sé stessa come l’Udinese e i granata di Cairo stanno in due parole: Sirigu. Liajić.
Il portiere granata è un giocatore buono, non fenomenale: ma il suo dirimpettaio pur con un discreto secondo tempo non può far dimenticare la bestialità del primo tempo. Qualcuno ha parlato di erba bagnata (?), io dico che un errore come questo equivale, nella mia amata pallalcesto, a un pivot di 221 centimetri che si auto-stoppa con l’anello di ferro: una cosa bestiale, inaccettabile anche per un talentino (solo tre anni fa era considerato tale) che da allora ha fatto passi da gigante: all’indietro. Voglio bene a Simo (come a Delneri), ma il passaporto “Aqua” non può bastare a giustificare un investimento sinora fallimentare.
In mezzo? Delneri (ripeto, lo abbraccio fortissimo come Voi che non sapete dove stia Secaucus) non ci ha capito nulla. Spiace dirlo, ma da uno con la sua esperienza mi sarei atteso una marcatura “alla Gentile” sul talentino serbo-bosniaco, non una libertà così sfrenata e tale da permettergli di farci a pezzi. Sulla rete, per l’amor di Dio un colpo da biliardo, il mio amico Bram avrebbe potuto allungare un piedone sulla linea. Amen.
Vieppiù non capisco la mancanza di aggressività sul portatore di palla torinista data la muscolarità del centrocampo proposto, dal quale era stato fatto fuori Jankto per motivi che, probabilmente, sono custoditi nell’area 51 in Nevada. Io, che di calcio non capisco nulla, avrei sacrificato Seko (ancora non brillante) in marcatura dedicata, lasciando a Kuba spazio per giocarsela sulla sua fascia, dove ha fatto malissimo all’avversario per tutta la ripresa.
Davanti onestamente la differenza si è vista meno: con Belotti non in giornata di grazia, con Niang assente dal campo abbiamo fatto match pari, grazie al solito generosissimo Lasagna e ad un Maxi Lòpez in crescita cui contesto solo la mancanza di cattiveria quando ha sparato a salve sul portiere sardo del Toro, dopo aver evitato Lyanco con una giocata da grande repertorio.
Danilo? A oggi è più bravo in zona mista che in area grande. Appare lontano, mentalmente, dal libero che qualche anno fa aveva attirato le attenzioni della Juve. Sempre in difficoltà, mi sarei atteso (dopo Milano) di vedere la coppia Angella-Nuytinck, ma evidentemente dopo “Cirillo-sempreincampo” abbiamo anche “Larangeiro fuorimai”. Capisco il suo impegno nel fare gruppo, nell’escludere chi della squadra si senta oggetto estraneo (quaranta reti in tre anni, il corpo estraneo peraltro giustamente ceduto...), ma il calcio è, anche, altro.
Dell’Idolo Islandese non parlo. Ne ho troppa stima per pensare che lui per primo non si renda conto di non essere, oggi e solo oggi, un giocatore da massima serie. Cosa gli manca? Boh. Forse è in pausa di riflessione forse in crisi fisica, ma così com’è non si può vedere in campo. E non parlo solo del contributo fattivo al raddoppio “granata” (ma perché giocavano in giallo? Lo faranno anche nel derby?), ma anche della mancanza totale di filtro a metà campo.
Ma chi doveva capirlo? Chi doveva schierare una squadra senza paura, messa lì per fare paura all’avversaria e non rassegnata in tana? Già: il non-più-giovane Gigi.
Da qualche mese è ingrigito, ne discutevo con qualche collega; assomiglia all’ultimissimo Guidolin, quel Francesco per il quale qualche supporter frettoloso (e magari anche qualche dirigente) faceva il conto alla rovescia attendendone la partenza, ma oggi immemore lo rivorrebbe indietro. Sgarfare, dindiàs, i friulanismi, i sorrisi sembrano appartenere ad un secolo fa ma è passato neanche un anno. Delneri sembra appiattito sulla sua sedia, che sente rovente perché mi sembra colino fuori a fiotti indiscrezioni che parlano di Oddo, di Ballardini, di Reja e non di Bearzòt solo per la prematura dipartita.
L’Aquileiense ha fatto una scelta: non puntare, se non marginalmente, sulla parte giovane della squadra. Mi dicono “li vede in allenamento, non saranno pronti”. Invece quelli esperti, quelli che l’Udinese per vincere deve segnarne tre perché due li prendiamo sempre, quelli che il Torino fa un contropiede e due gol in venti minuti meritano di più?
Altri hanno parlato di appartenenza alla maglia, di onore, di colori. L’ho fatto anni e mesi fa, in relazione ad altre conduzioni tecniche ed altri giocatori, forse anche meno dotati di questi: lascio all’accorato Giacomo l’invettiva, oggi.
Io, forse per la prima volta almeno in pubblico, mi pongo altre domande. E rispondo già a chi in calce mi sbandiererà vent’anni di serie A, di “vai a tifare Juventus”, di “studia meglio il fenomeno Salzburg”.
Chiedo loro quale sia lo scopo per il quale la domenica seguono l’Udinese.
Il mio? Amore.
Amore nato nel 1973, quando tantissimi fra loro non erano nemmeno in progetto, essi che mi potrebbero essere figli. E l’amore non può essere schiavo di convenzioni, dipendenze, allineamenti coperti dietro una “proprietà” che si sta dimostrando mentalmente e spiritualmente lontana.
Sono imprenditore, e come tale non biasimo chi investe dove i ritorni sono immensamente superiori; la mia è un’aziendina, siamo due “scappati di casa” ma se abbiamo contezza di non poter sostenere le responsabilità di un lavoro, candidamente ci ritiriamo. L’Udinese di certo non è più priorità, forse sta uscendo anche dai cuori di chi, per trent’anni, ne ha retto le sorti.
L’amore, amici miei biacca e carbone, non è dire che mercoledì si è “perso per sfortuna” ma ammettere che contro un Torino così si doveva fare meglio, e non concere un intero tempo. E affibbiare l’intera responsabilità a Delneri è ingrato ed ingiusto.
Sono pronto a scendere di categoria: cosa me ne frega? Cosa conta vedere di fronte Milan o Frosinone? Io guardo, bovaristicamente, al mio orticello e non a quello altrui: e una vittoria del 1978 (durissima) per 2-0 contro il Lecco in terza serie conta infinitamente di più di una sconfitta “onorevole” a San Siro.
Sì: nel recente passato l’Udinese ha fatto paura. Chiediamoci perché non sia più così. Perché alcuni giocatori siano, negli ultimi anni, stati ceduti frettolosamente (Zielinski) e non fatti crescere a Udine, come accadde per Bierhoff, Jankulovski, Asamoah eccetera. Perché siano stati giubilati uomini che costituivano la vera ossatura della squadra, ovvero non siano stati sostituiti. Perchè a gente che segna ancora reti bellissime in A e avrebbe fatto carte false per tornare sia stata chiusa la porta: davvero buttiamo tutto a mare per qualche centomila euro di ingaggio?
Allora io le domande me le pongo. Qualche supporter anche. Lo faccia anche la dirigenza, che senza ironia ritengo abile e capace come il passato ha dimostrato.
Tanto comunque noi saremo qui. Anche domattina, ore nove, da ‘sto cacchio di Secaucus. Che sta nel New Jersey, di fronte a New York. Sperando nel miracolo romano.
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