L’Europa è il sogno, il mercato è la realtà. Ma, a considerare gli umori della piazza, anche di quella virtuale non ancora sdoganata dal “Paroncino” Gino Pozzo, parrebbe l’inverso.

Partiamo da assunti molto pragmatici. Una squadra non si costruisce in un anno, può capitare ma riguarda più la fortuna che le competenze. Provate a ricordare la Juventus retrocessa in serie B. Tornò in A ma ci mise anni ancora prima di avere una rosa all’altezza di scudetto e Champions League. Ed ancora adesso arriva in finale ma prende sonore batoste. Zaccheroni costruì la sua splendida Udinese in tre anni ed avvenne in allenamento più che nelle partite (la difesa a tre, disse il tecnico romagnolo, era provata durante la settimana già molto prima di quel famoso Juventus Udinese).

La differenza, come sempre nel calcio, la fa la programmazione. Ma cosa significa programmazione? Significa cambiare poco, con logica e cambiare “prima”. L’Udinese dell’epoca Gino Pozzo è stata disastrosa a livello di programmazione: fra esoneri e mercati fatti senza un minimo di criterio siamo arrivati a un passo dal baratro nell’anno dell’addio di Di Natale. Poi una lenta ma incostante risalita, segnata da due esoneri (Iachini e Delneri). Senza una guida tecnica stabile e senza una memoria storica non può esserci programmazione. Un esempio su tutti, il primo gol subito a Torino, con una difesa schierata a zona quando già avevamo subito caterve di gol con quel tipo di disposizione, in passato.

Quindi, servono due componenti per creare un continuum nella gestione e una crescita nei risultati: un mercato mirato e una guida tecnica stabile. Se sul secondo punto la situazione non è certo florida, sul mercato siamo tornati ad operare bene negli ultimi due anni. L’infortunato Lasagna ne è l’esempio più lampante: comprato a gennaio quando già si poteva intuire che Zapata e Thereau sarebbe approdati ad altri lidi, se non entrambi almeno uno dei due. Assieme a questo virtuosismo (accolto inizialmente in maniera tiepida, a essere diplomatici, dalla piazza, ma poi dimostratosi una mossa vincente) c’è l’acquisto di Maxi Lopez al posto dei ben più costosi Falcinelli, Pavoletti e Lapadula. Alla resa dei conti l’argentino ha reso di più pur costando molto meno. Ma va detto anche che non è un acquisto per crescere, ma per rappezzare un buco che avevamo in rosa, vista l’età non proprio giovanissima.

L’Udinese va avanti a tratti, fra errori (fisiologici quando si compra molto sul mercato estero a basso costo) e virtuosismi (solo per citarne alcuni: Samir, Larsen, Barak, Jankto, Lasagna, De Paul…). E Perica? Da più parti, in un ambiente che sempre più segue la schizofrenia decisionale e di risultati della squadra, si è tirata la croce addosso al ragazzo. Io continuo a pensare che un buon allenatore, ed anche Oddo ha dimostrato di esserlo, ottiene il massimo dei risultati con quello che ha e non con quello che potrebbe o non potrebbe avere. Il ragazzone croato aveva, l’anno scorso, una media gol superiore sia a Zapata che a Thereau. E’ più una seconda punta che una prima, ha bisogno di spazi e di contropiede. L’Udinese si deve adattare, prima che agli avversari, alla propria rosa. Anni fa no, perché la rosa era scarsa e costruita male; oggi può e deve avere più autostima.

A Genova Stipe non ci sarà; ma ci saranno Maxi Lopez, De Paul, Jankto e Barak che da soli hanno segnato tanto, più dei tanto decantati attaccanti di cui si facevano i nomi in estate. L’Udinese deve far arrivare loro in porta. Finisce domenica il trittico maledetto, quello che doveva abbattere una squadra che invece ha risposto ottimamente contro il Milan e bene anche contro la Roma. Si può vincere, si può, anche senza Lasagna. Per noi, al momento, c’è un solo giocatore imprescindibile: Berhami.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 22 febbraio 2018 alle 13:38
Autore: Giacomo Treppo
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