Per il secondo anno consecutivo, l’Udinese delude le aspettative di inizio stagione. Se il campionato scorso c’erano motivazioni plausibili come giocatori scontenti e un allenatore giunto alla fine di un ciclo, quest’anno il risultato negativo è più difficile da giustificare.
Mentre il Paron Pozzo afferma di voler alzare l’asticella, la squadra e lo staff tecnico-dirigenziale abbassano il livello della squadra friulana in maniera preoccupante. Da ormai qualche tempo, nelle dichiarazioni dei diretti interessati, si coglieva una sfumatura che sapeva tanto di presa di coscienza. L’obiettivo era arrivare il prima possibile a 40 punti, il che sottende la consapevolezza di avere una squadra ibrida, a metà provinciale (l’ambiente e la politica degli stipendi) e a metà metropolitana (i risultati e le potenzialità annue della rosa a disposizione). Ma pare che negli ultimi due anni la parte "provinciale", quella che lotta contro le ultime, sia venuta meno, mostrando di fatto che la parte "metropolitana" non ha basi solide senza la grinta propria della prima.
Quest’anno, è qui che vuole arrivare l’analisi, l’Udinese è riuscita nell’ardua impresa di dissipare il tesoretto di punti della seria A attuale. Le ultime tre squadre, per vicissitudini varie, non sono all’altezza della massima serie e lo hanno dimostrato per tutto l’anno in corso. Rose con poca qualità o dissesti finanziari preannunciati hanno reso fin troppo facile ottenere 18 punti contro le squadre che, di fatto, sono già con un piede (e mezzo) in serie B. La squadra allenata da Stramaccioni ha totalizzato cinque punti in cinque partite contro Cesena, Cagliari e Parma. Ed a poco varrà l’ultima sfida in terra sarda; anche un’eventuale vittoria porterebbe comunque a dissipare almeno 10 punti da quel tesoretto a disposizione.
Perché l’Udinese ha buttato via i punti che le avrebbero permesso di avere tutt’altra classifica? Sicuramente incide la mancanza di gioco propositivo. Se Stramaccioni ha dimostrato di essere tatticamente preparato nelle partite contro Juventus, Roma e Fiorentina, ha altresì mostrato mancanza di idee quando deve fare la partita contro squadre chiuse. Eppure la rosa degli attaccanti quest’anno era più equilibrata rispetto agli anni scorsi: dal piccolo e spietato Di Natale alla torre Gejio, passando per il jolly offensivo Thereau. Incide anche, da ormai due anni, una politica della comunicazione in versione commerciale spinta e maglie della disciplina interna che si vanno sempre più allargando, per arrivare al ritiro nell’Hotel del centro città (punitivo?). Di conseguenza, le motivazioni del gruppo calano.
Il calcio è uno sport molto semplice: divide il mondo fra chi vince e chi perde.

Come nella politica, chi perde si arrampica sugli specchi per giustificare la propria inefficienza o (più semplicemente) scelte errate. E’ stato sbagliato l’allenatore, ormai è lampante. Ma errori sono stati fatti anche a livello societario. Più che una classe dirigente inadeguata, ci sono state scelte strategiche che sono andate oltre quella business idea che pareva funzionare: uno zoccolo duro di italiani ed intorno giovani di belle speranze esaltati da allenatori che insegnavano a giocare a calcio. Marino aveva il suo gruppo che tirava la carretta ed anche Guidolin ne elogiava l'importanza nello spogliatoio. Addirittura, il tecnico di Castelfranco Veneto obbligava gli stranieri ad imparare velocemente la lingua italiana. Boban, uno che di calcio ne capisce, ha dichiarato tempo fa che qua Italia gli insegnarono cosa significava essere professionista, e furono proprio gli italiani ad educarlo al calcio vincente. Anche Stramaccioni se ne è accorto: nelle ultime partite la squadra non può prescindere dai senatori (italiani). Solo che i senatori non hanno un ricambio generazionale e gli anni frenano le gambe sempre più. Angella è stata spedito malamente a Londra, Faraoni è artefice di un momento d’oro del Perugia, altri sono stati abbandonati per strada (vedi Lodi).
La stagione sta finendo come un disco rotto, la puntina graffia e il suono stride. Il prossima anno l’Udinese ritroverà la sua identità provinciale italiana? O punterà ancora su scommesse? Perché il terzo anno consecutivo di risultati mediocri porterebbero ad una emorragia di tifosi rendendo inutile l'investimento nello stadio nuovo, senza considerare i risultati economici che nell’ultimo anno sono stati negativi, e non per colpa delle comproprietà come si vuole far credere, ma per un vistoso calo delle plusvalenze da cessione. Al Paron Pozzo l’arduo compito di rispondere sul campo, pardon… nella stanza dei bottoni.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 23 aprile 2015 alle 08:00
Autore: Giacomo Treppo
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