Quando ero piccolo, in ferie nella “mia” Alta Val Torre, la zia mi raccontava favole di fantasmi e cimiteri. Probabilmente erano quelle che le raccontavano a lei da piccola, a cavallo della seconda guerra mondiale. Io mi spaventavo e la notte non dormivo. Mi spiegarono lì la differenza tra le favole e la realtà.

L'Udinese del primo tempo non mi è piaciuta, di più quella del secondo tempo quando Delneri ha messo dentro le seconde linee in cerca di “approvazione”. A fine partita sono sceso ad ascoltare il tecnico di Aquileia, e come mi era successo nel miglior periodo dell'andata, non avevo domande. Mi bastava ascoltarlo, altri avevano azzeccato l'unico dubbio che avevo. E per me il mister ha fatto il furbone, ha tergiversato. Nel primo tempo, il cambio del centrocampo a quattro, era dovuto agli inserimenti dei centrocampisti sardi, era una mossa difensiva. Fatto sta che l'Udinese, la sua Udinese, non ha sofferto, se non nei minuti finali. Un'atavica paura del bambino di fronte alle favole cattive che, in un campo di calcio, e solo lì, diventano realtà.

La favola della speranza di andare a Napoli e fare risultato con i giocatori che ci hanno quasi portato in B negli ultimi anni, è fantasia. La realtà sta nella formazione titolare di questa domenica, nella presa di coscienza della società che doveva cambiare e tornare alla passata business idea di comprare giovani, formarli e rivenderli. Senza la qualità non vai da nessuna parte. Poi ovvio, va sgrezzata, va insegnata. Per quello c'è Delneri, c'è una società che credo più presente (visto che impiega meno tempo degli anni scorsi davanti ai microfoni), c'è un ambiente finalmente coeso. Le vittorie e i punti sono il più grande collante del mondo, nel calcio. Il mondo meritocratico è macchiavellico, assoluta presa di coscienza della razionalità limitata, ma mi sto perdendo in filosofia e psicologia.

La realtà è che Delneri ha messo Angella al centro della difesa e l'italiano che iniziò il ritiro un mese prima per convincere Guidolin, anni fa, lo sta ripagando con partite importanti, al di là del gol. Non è cantare le lodi al giocatore che mi è simpatico, è un simbolo del lavoro, delle opportunità, della possibilità di giocarsi una maglia. E' la mentalità furlan del mister contro anni e anni di formazioni preconfezionate. L'Udinese era un cioccolatino scaduto avvolto da una bellissima carta luccicante (il nuovo stadio Friuli). Ora l'Udinese è una fabbrica in costruzione... anche nel primo tempo, anche quando ero arrabbiato per la poca cattiveria agonistica messa in campo, li guardavo e mi dicevo: questa è una squadra da Europa. Mi sono voltato verso Stefano (Pontoni) e gli ho detto: ma secondo te, se Delneri avesse fatto anche la preparazione... Anche lui ha annuito.

Ascoltavo parlare Gigi da Aquileia e pensavo, dice le parole che direi io, non per scelta dei vocaboli, ma dei concetti. Lo ammetto, sono partigiano e provo simpatia per un allenatore che vedo affine al mio modo di vedere il calcio (così come provavo simpatia per Iachini che aveva sistemato ed inventato una difesa che ancora adesso gira a dovere). E' bellissimo quando dice: questa è una squadra, non ci sono invidie. E il merito, secondo voi, di chi è? Di un allenatore che fa vincere costruendo, giocando a calcio e che sa anche fare dei cambi nell'undici titolare quando deve, il tutto nel rispetto di determinate gerarchie di gruppo e, presumo, spogliatoio. Pensate a due mesi fa, sconfitte contro Empoli e Sassuolo, vergogna e onta anche davanti a Zico. Ha risollevato la squadra!

Domenica si va a Bologna, nella mia Bologna, sarò anche là! Qualcuno chiede il decimo posto, lui risponde che non si dà obiettivi perché se le gioca partita dopo partita. L'anno scorso significava paura, quest'anno le stesse parole, le stesse frasi, denotano il coraggio di chi sa che può vincere ogni partita.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 23 aprile 2017 alle 17:50
Autore: Giacomo Treppo
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