Domenica arriva il Pescara, si gioca ad orario di pranzo, e si spera che i tifosi dell’Udinese possano uscire dallo stadio con la pancia piena di soddisfazione, e non anzitempo con la gastrite.
Delneri ha fatto vedere a Torino un gioco che ricordava il suo primo Chievo. Lasciamo stare che la disposizione in campo fosse diversa. Era comunque bellissimo vedere lanci poco oltre la metà campo in posizione centrale e aperture immediate sulle fasce. Un po’ come chiamare a raccolta la difesa avversaria e poi obbligarla ad aprirsi creando spazio. Se il gioco lo fai veloce, il risultato è quello del mago davanti ad una platea di bambini.
Ma non tutto ciò che luccica è oro, e una rondine non fa primavera. All’Udinese è mancato equilibrio ed è bastato che la Juventus delle riserve spingesse sull’acceleratore per venti minuti tra fine primo tempo ed inizio secondo per rovesciare il risultato. Abbiamo preso due gol su chiare ingenuità difensive: una punizione regalata in una posizione del campo dove i falli non andrebbero commessi mai o quasi e un calcio di rigore regalato da De Paul. Inoltre, come non bastasse, negli ultimi anni di questa epoca mediocre (a livello di risultati) abbiamo assistito ad exploit contro grandi squadre per poi vedere tutto il bello mostrato svanire alla domenica successiva, contro l’avversaria di turno per la corsa salvezza.
Il calcio è un ambiente da film Western, non ti puoi allenare con un duello fra pistoleri. Delneri in poco più di due settimane deve creare coscienza nella squadra. Un po’ con il gioco, bellissimo, propositivo, visto allo Juventus Stadium. Un po’ convincendo un gruppo ad essere tale, al sacrificio, alla lotta anche nelle sfide che meno danno visibilità a livello singolo, personale.
Perché è questo che servirà domenica: il gruppo.

Perché è questo che è sempre mancato. Non penso sia vero che l’Udinese degli ultimi tre anni e rotti sia stata costruita solo per distruggere il gioco avversario. Non penso che gli allenatori susseguitisi sulla panchina friulana non fossero adatti alla serie A o ad un gioco da salvezza, anzi… Il problema è sempre quello: entrare in campo e lasciare testa, voglia e sacrificio negli spogliatoi, o a casa. Sognare la grande squadra senza avere la voglia di mostrare con continuità il proprio (magari umile, ma comunque reale) valore.
Agire sulla testa di un gruppo dove i leader sono pochi, dove spesso vengono premiati i mediocri e non quelli che danno l’esempio; agire sulla testa di un gruppo multiculturale e multilingue come lo spogliatoio bianconero è difficile. Lo era durante la fase di transizione dalla vecchia guardia alla nuova. Lo è ora che la nuova non pare all’altezza dei predecessori (Domizzi, Pinzi, Di Natale su tutti). Di sicuro la gioventù può aiutare, ma contro il Pescara serve l’esperienza della seria A, non la voglia dei principianti. Mi attendo una prestazione esemplare da Thereau, Felipe e Danilo, più che da Jankto e Fofana. Altrimenti si rischia di giocare “fuori casa” anche al Friuli, concedendo all’avversario la scelta delle armi.
E no, non basta un pareggio, perché andare a Palermo con 8 punti significherebbe essere superati in caso di sconfitta (sempre che i siculi perdano con la Roma come da pronostici, possibile, ma tutta da verificare!); significherebbe, in caso di sconfitta, farsi staccare di tre punti da una squadra in lotta per rimanere nella massima serie e che al turno successivo affronterà l’Atalanta in casa. L’ho detto varie volte, lo ripeto: questo anno gli alibi stanno a zero. E’ arrivato l’allenatore che sognavo all’inizio della scorsa stagione, quando poi si scelse Colantuono. Vuole portare gioco e lavoro. Non ci resta che tifare, che sgolarci, con quel dubbio tenuto nel profondo che se il problema non sta in panchina, forse, domenica, potremmo avere l’ennesima brutta delusione, invece dell’ennesima prova del nove.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 19 ottobre 2016 alle 18:12
Autore: Giacomo Treppo
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