A Udine il pubblico sembra disaffezionarsi. Mentre la curva (parte, visto che c’è chi è rimasto fuori dal FRIULI mercoledì scorso) continua a fare il suo lavoro con encomiabile costanza, pare che il dato degli spettatori cali vertiginosamente, anno dopo anno. La regola numero uno del calcio recita “chi vince ha sempre ragione”. Ora, togliendo Calciopoli e derivati, la regola spiega bene perché il pubblico friulano si stia disaffezionando.

Sono tre anni che l’Udinese non vince. Anzi, fa pure peggio! Non ha una minima costanza di rendimento. Provate a togliere due vittorie ed aggiungete sei pareggi (tre all’inizio del campionato e tre nel “periodo della vergogna” appena passato) strappandoli alle sconfitte. Stessi punti, ma il giudizio sull’annata sarebbe diverso: gioco bruttino o brutto, ma squadra che lotta con costanza. Invece niente.

Ventiquattro diventa il nuovo numero magico, prima era quaranta. Da quando la seria A ha aumentato la varianza di risultati (cioè ci sono i forti sempre più forti e le squadre materasso che retrocedono già nel girone d’andata) i punti per salvarsi sono molti meno. Parimenti, andare in Europa è più difficile. L’Udinese sta là in mezzo e per dare motivazioni bisogna guardare in casa propria: “Nel ritorno voglio fare più dei 24 punti dell’andata.” Una frase importante per un allenatore che siede su una panchina bollente come quella dell’Udinese: tre tecnici in altrettante stagioni, tutte più o meno fallimentari. Che poi quella panchina scotti per colpa della società è un discorso già assodato. Sta di fatto che la rincorsa all’andata è ufficialmente iniziata nel dopopartita contro il Milan.

Ma perché il pubblico dovrebbe affezionarsi all’Udinese. Per lo stadio nuovo? Certo aiuta… un po’ come le multisale per il cinema, ma se poi non danno più film come Seven, Il Gladiatore o Titanic, cosa ci vai a fare al cinema? Inteso il paragone? L’Udinese attua un gioco brutto a vedersi. Ma nemmeno il gioco conta più di tanto: la Juve ha un gioco brutto, ma vince e tutti la lodano. Ricordate… la prima regola del calcio

Qual è il vero nodo della questione? La continuità, l’affetto. Un essere umano non può affezionarsi a chi è ambivalente, a chi toglie certezze, a chi non dà sicurezze. L’Udinese di quest’anno è quanto di più si avvicini alla schizofrenia. Certo, rispetto alla depressione cosmica dell’anno scorso è già un miglioramento, ma siamo pur sempre nella patologia di gruppo. E' la continuità che mostra la serietà, valore che crea affetto. Le quattro sconfitte dell’andata sembravano superate quando i giocatori si sono nuovamente macchiati di vergogna. Guarda caso nel mese in cui riapre il mercato...

A mio modesto avviso, la colpa è minimamente dell’allenatore. Colantuono li mette in campo, li allena, ma come diceva Cosmi tempo fa “Il carattere non lo alleni”. Tocca ai giocatori che scendono in campo mostrare gli occhi della tigre, mettere il cuore, bagnare le magliette di sudore. Questo a Udine manca da anni e se ne è accoto Felipe, ormai tarcentino d'adozione, richiamando all'ordine e al rispetto per la maglia i compagni di squadra.

Sono i giocatori a “tradire”. Diciamolo ora che la crisi peggiore sembra superata. Così non sembrerà la solita critica, il muro contro muro, ma un’analisi della realtà. Volete una prova? Leggete le formazioni di serie A, una a una… chi può annoverare in difesa Karnezis Wague, Danilo e Felipe? Chi può permettersi in panchina Herteaux e Piris? Eppure l’Udinese, che nelle ultime tre partite ha mostrato una fase difensiva eccellente (2 gol in tre partite contro tre squadre forti, due delle quali in un momento di ottima condizione), ha subito in totale 37 gol, come il Verona ultimo in classifica. Solo Frosinone, Carpi, Sampdoria e Palermo hanno fatto peggio. Vi pare possibile? Delle squadre umane (tolta la Juventus quindi) solo Frosinone Palermo e Bologna hanno pareggiato di meno.

Perché? Perché manca quella professionalità di chi entra in campo e lotta, comunque vada. Perché manca il bastone e la carota della società. Perché i continui messaggi all'esterno degli addetti ai lavori creano alibi, sono forze centrifughe, marketing applicato ai cartellini degli atleti. Provate a contare i giocatori che, nel bene o nel male, lottano sempre, anche quando giocano male e si perde (e torniamo a Felipe, uno dei pochi). Vi basterà una mano e forse non alzerete nemmeno tutte le dita. A dare manforte alla mia teoria è il fatto che i cali più vistosi si hanno sempre durante il mercato invernale.

Questo si chiede all’Udinese. Costanza, presenza, abnegazione. Ai giocatori prima ancora che alla società, che lo stipendio non lo prendono per essere comandati, ma per correre e divertirsi in campo, per dare il massimo. Parole perse nel vento, l’Udinese ha due anime in alto e in basso: una vorrebbe vincere ma ci crede poco, l’altra vuole vendere e fare soldi. Il Paron le sapeva sintetizzare a meraviglia. Ora non è più così… Questa è la vera sfida che attende Colantuono nel ritorno. Riuscirà dove ha fallito Stramaccioni? Riuscirà a farsi dirigente, motivatore, a bissare i risultati ottenuti da altri allenatori prima di lui, arrivati dopo periodi di crisi?

Sezione: Editoriale / Data: Mer 10 febbraio 2016 alle 06:58
Autore: Giacomo Treppo
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