Lo abbiamo detto e scritto moltissime volte, i tifosi bianconeri sono unici! E questo non deve mai e poi mai essere messo in dubbio. Ciò che i tifosi hanno sempre dimostrato in questi anni non è poco. Amore incondizionato, fede intoccabile, nel bene e nel male, anche quando si smantellava la squadra e quando i risultati non arrivavano. Perché se Udine è considerata una piazza tranquilla, dove si può lavorare serenamente e senza pressioni, è soprattutto merito di chi è sugli spalti. 

Il tifo poi è cresciuto in questo ultimo anno, grazie forse anche al nuovo stadio che ha aiutato molto. Mai l'orgoglio di tifare questa maglia è stato così grande, come nemmeno quando eravamo in Champions. Grazie ai tifosi le partite sono sempre state un qualcosa in più, nonostante lo spettacolo in campo non fosse granché. Il vero spettacolo infatti era sugli spalti. Potremmo citare molte esempi, su tutti forse quello più esemplare di quanto tutta la curva si fermò a cantare sugli spalti per un'ora dopo la pesante sconfitta per 5 a 1 contro il Torino. E' questo l'emblema di cosa significa per questa tifoseria l'Udinese e l'attaccamento a questa maglia. Un’epidemia di tifo. L’invito a cantare assieme “un giorno all’improvviso” è stato accolto con un plebiscito. Alla fine si sono alzati proprio tutti: i padri con in groppa i loro bambini, le mamme con le figlie, le coppie più e meno giovani, i gruppi di amici, i più in là con gli anni. 

I friulani che fischiano la squadra alla fine del primo tempo, che non risparmiano il loro disappunto e abbandonano lo stadio a quarto d'ora dalla fine contro la Lazio non lo fanno sicuramente per distruggere l’autostima di un gruppo o di un singolo. Volevamo, e meritavano una reazione d’orgoglio. Quell’orgoglio che invece non si è visto in campo. I tifosi bianconeri hanno provato ad alzare la voce, a richiamare tutti all’ordine. Ma i cori “vogliamo undici leoni” o “tirate fuori i c..osìddetti” non hanno sortito l’effetto sperato. Anzi, hanno alimentato la voragine scavata. Un tracollo senza se e senza ma, sotto gli occhi di una curva che canta in una serata che doveva essere di festa. 

Dopo prestazioni così ci stanno i fischi, ci sta la contestazione. Ed è solo che un diritto sacrosanto di chi tanto fa e in cambio non riceve nulla. Questa gente che lavora e si sacrifica per pagarsi l'abbonamento e il biglietto, che spende soldi e tempo per organizzare le trasferte, togliendo magari tempo alla famiglia e la lavoro, davanti a certi spettacoli è libera di protestare.

Di pazienza a Udine ce ne è sempre stata e ce ne sarà ancora tanta. E' la pazienza di un padre e di una madre con il proprio figlio. Ma anche queste latitudini, di fronte ad un oltraggio la gente si stufa. Perché si può accettare tutto ma non una squadra senz'anima. 

Chiudiamo però con un augurio di speranza. Che l'avvento in panchina di uno di noi, di Gigi Delneri, possa riportare il bel calcio a Udine, l'orgoglio e la voglia di non mollare mai che contraddistingue da sempre questo popolo.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 05 ottobre 2016 alle 12:00
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
vedi letture
Print