Questo week end ero ad Assisi. Volevo staccare dal mondo “moderno e materiale”, piccola ipocrisia di chi vorrebbe ma non ha il coraggio. Non volevo sentire il cellulare, ne leggere gli aggiornamenti social o sapere cosa aveva fatto l'Udinese. Ho registrato la partita e la avrei vissuta al ritorno, domenica sera. Galeotto su il sms, tecnologia ormai obsoleta, che mi faceva i complimenti. Ho capito e ho dovuto leggere cosa era successo in quel mondo che cercavo di abbandonare per un po'.

Leggendo qua e là, senza aver visto la partita, volevo scrivere un editoriale dal titolo “Friul uber alles”: l'Udinese che aveva continuato nel solco del Pordenone, che aveva sacrificato la forma e la condizione nello scontro importante contro il Renate pur di conquistare l'impresa a San Siro. Avrei scritto del seguito di quel film dal titolo Rocky, quando finalmente il pugile italo americano vince, emerge, mostra tutto il suo valore e la sua umanità.

Invece no, ho visto la partita e la nostra vittoria è diversa da quella (purtroppo solo ai punti) dei cugini friulani. E così ho iniziato la registrazione pur sapendo il risultato finale. Il primo tempo eravamo in balia dell'avversario, eppure siamo riusciti a passare in vantaggio perché Widmer è uno dei giocatori più sottovalutati di tutto il campionato italiano, perché Lasagna ha un senso della posizione sotto porta come pochi altri e ricorda, seppur nella migliore versione del “bravo ragazzo”, quel Iaquinta che ci fece innamorare tutti (per poi tradirci, essere punito ed aver abbassato la cresta fino alla partenza verso altri lidi, sponda Juventus).

L'Udinese del primo tempo poteva tranquillamente perdere 3.1, eppure un Inter senza lucidità e cattiveria, quasi peccasse diabolicamente per la seconda volta pensando che prima o poi la avrebbe vinta, non era riuscita a perforarci. Qual'era il problema? Due mezzali “viziate”. Lo metto fra virgolette perché, come già in passato ho fatto e continuo a puntualizzare, non giudico l'uomo, la persona, ma soltanto il giocatore in campo. Barak e Jankto pascolavano in campo quando si trattava di difendere. L'Udinese non era lunga, era bucata! Se le mezzali non accorciano e chiudono, allora i laterali non possono nulla. L'Inter di Spalletti è bravissima in quella parte di campo, e così in velocità arrivava sempre sulle fasce con l'uomo libero. Ma a sbagliare non erano Widmer e Ali Adnan (autore di una prima frazione comunque poco decorosa); erano Jankto e Barak che non tornavano, allungavano le distanze rispetto a Fofana e non creavano muro. L'Udinese aveva due buchi, uno a destra e uno a sinistra.

La squadra entra negli spogliatoi ed esce nuova. Come il Pordenone ottimamente sistemato da Colucci e combattente? No, come l'Udinese che fu. Ho pensato a Guidolin nel secondo tempo, e un moto d'amore, di puro amore calcistico si è mosso nel mio sangue facendomi battere forte il cuore. Certo, l'Inter ha buttato via occasioni su occasioni, ha fatto errori in difesa... peggio per loro! La serie A non è un paese per “quasi” o per “avrei voluto”. I bianconeri di Oddo, pur con un canovaccio tattico inverso a quello del Francesco da Castelfranco, mi hanno ricordato proprio il profeta per l'intelligenza nello stare in campo, per quella saggezza calcistica che esportavamo in giro per l'Italia. Se con il Guido gli esterni facevano lavoro da ali e le mezzali, con maggiori propensioni difensive, le proteggevano, ecco che nell'Udinese di Oddo sono gli esterni a coprire le mezzali, ma queste devono subito rientrare per occupare gli spazi, creare densità, formare una mini catena a tre con Fofana, a volte abbozzare un'uscita sul portatore di palla con una “mini-diagonale”, così facendo rallentando l'azione degli avversari. Se poi come accade, l'Inter riesce con un triangolo e movimenti delle ali a rientrare, a portare fuori i nostri esterni e creare un buco (molto più piccolo) sulla nostra trequarti, ecco che uno dei tre centrali esce a riempire gli spazi. Che senso ha tenere tre centrali contro una squadra che gioca con una punta sola, altrimenti?

E' così che Oddo ha vinto la partita, cambiando la testa viziata in testa umile, seppur per quarantacinque minuti, di Barak e Jankto, due giocatori che devono ancora mangiare tanti panini col salame prima di poter ambire a una squadra di alta classifica. Hanno più mezzi di Zielinski, molti di più, perché accontentarsi di essere panchinari altrove quando possono crescere e diventare top player ovunque?

E poi ti ritrovi e sapere benissimo che ti fischieranno un rigore a favore, ma guardi l'arbitro Mariani, in una registrazione, come se non sapessi nulla, perché quella partita ti rapisce al punto tale da scordare tutto. E poi ti incazzi (termine tecnico-calcistico) negli ultimi dieci minuti quando Jankto torna a commettere quel solito errore di fermarsi e non chiudere gli spazi, ed allora l'Inter torna a forzare là, nel nostro punto debole. E vengono i cinque minuti di recupero, sai che vincerai 1.3 ma lo stesso hai paura che l'avversario segni un gol. Il crollo, la sofferenza, la speranza... è per questi momenti che tifiamo, che il nostro cuore torna a battere dopo essersi sopito fra gli errori individuali di chi dovrebbe essere senatore e un esonero per colpe altrui. Fischio finale, avrei voluto vedere i ragazzi impazzire, ma forse nemmeno loro si rendevano conto di quello che era successo nel secondo tempo.

Oddo, figlio di un bravissimo allenatore sottovalutato, terzino di un Milan d'altri tempi, ha coniugato la perfetta sintesi sacchiana: l'organizzazione viene prima del singolo, ed è questa che fa “esplodere” i giocatori migliori. I nostri giocatori migliori sono De Paul, l'unico “diez” in grado di sostituire Sanchez da ormai sei o sette anni, e Lasagna, forse brutto da vedersi, calcisticamente parlando, ma con una progressione e un senso della posizione che pochi hanno in serie A.

Che bello vedere il Paron festeggiare, in tribuna... che bello vedere il Paron in una foto che farà storia, nello spogliatoio dell'Udinese, a fine partita. Ieri sera, pur davanti a una registrazione, avrei dato il sangue per togliere venti anni dall'anagrafe di Pozzo e rimetterlo, con tutto il pelo che ha sullo stomaco, alla guida della società. Ma ha una certa età e provo rispetto per lui. Sportivamente parlando è stato come una specie di padre, di secondo padre ovviamente. Provo un grande rispetto per lui e la vittoria di ieri sera, pardon, di sabato pomeriggio, è sacra per il suo lavoro!

Sezione: Editoriale / Data: Lun 18 dicembre 2017 alle 09:36
Autore: Giacomo Treppo
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